NOI X LUCOLI
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Amministratore

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I frutti antichi

I FRUTTI ANTICHI DI LUCOLI VEGETANO IN UN LUOGO DOVE ABBIAMO VOLUTO “MARCARE I LIMITI DA NON SUPERARE”

by Amministratore 29 Dicembre 2021
Ogni persona vive lungo le invisibili linee dei suoi limiti. Limiti materiali e immaginati, concreti e tangibili, presunti o acquisiti.

 

Gli uomini vivono in realtà dentro le dimensioni del limite, eppure a volte non ne sono consapevoli. L’Umanità ha superato le sue mancanze attraverso lo sviluppo della tecnica, l’uso dell’ingegno, l’invenzione di tecnologie di una complessità indescrivibile. Ma questa potenza creativa l’ha portata ad allontanarsi dalla coscienza di altri confini, quelli del nostro pianeta, dalle cui risorse siamo pienamente dipendenti e che stiamo consumando ed esaurendo.
La Terra, infatti, è un sistema finito, ma lo sfruttamento sconsiderato dell’ambiente che stiamo portando avanti in questo ultimo secolo la sta conducendo verso una progressiva alterazione degli equilibri.

 

I NOVE LIMITI PLANETARI

 

Nel 2009 Johan Rockström, direttore congiunto del Potsdam Institute for Climate Impact Research, ha guidato un gruppo di altri scienziati per identificare i processi che regolano la stabilità e la resilienza del pianeta. Gli esperti hanno individuato nove sistemi che permettono al mondo di funzionare così come noi lo conosciamo, nove “planetary boundaries”, ovvero confini planetari, entro i quali l’umanità può continuare a svilupparsi e prosperare.
Superati questi nove limiti planetari si andrà incontro a quelli che vengono definiti come Punti di Non Ritorno, oltre i quali non sarà più possibile ripristinare l’equilibrio precedente. Il modello, in parole povere, descrive lo stato di salute della Terra attraverso il monitoraggio di alcuni dei processi che stanno alla base della sua vita.
La finalità è quella di fissare le soglie da non superare per garantire un futuro all’umanità.
I tre sistemi di cui, secondo gli scienziati, abbiamo già superato i confini sono il cambiamento climatico conseguente all’aumentata concentrazione di gas serra in atmosfera, la disastrosa perdita di biodiversità e l’alterazione di alcuni cicli biogeochimici, come quello dell’azoto e del fosforo.
A grande velocità verso il raggiungimento delle soglie di non ritorno si dirigono anche gli altri sistemi individuati nel modello: la compromissione del suolo conseguente al suo eccessivo sfruttamento (come la deforestazione, la cementificazione, l’immissione di inquinanti e prodotti chimici…), l’acidificazione degli oceani, il consumo smodato di acqua dolce, la riduzione dello strato di ozono.

 

A Lucoli, nel Giardino della Memoria abbiamo “marcato i limiti” ecologici di ciò che globalmente si perde volendo invece recuperare in biodiversità e in tante buone pratiche connesse ai cicli biogeochimici.

 

Il frutteto dedicato alle vittime del sisma del 2009, SEPPUR CON LA SUA LIMITATA ESTENSIONE, rappresenta un laboratorio di scelte consapevoli e vorrebbe essere un modello.

 

Ci siamo assunti un piccolo pezzo di responsabilità nel non voler superare i limiti del consumo di risorse: la coltivazione delle cultivar recuperate impatta in modo esperenziale su due soglie già superate in termini generali nelle pratiche agricole: perdita di biodiversità e compromissione del ciclo dei nutrienti.

 

Per quanto concerne la perdita di biodiversità stiamo lavorando in un singolo incubatore sperimentale cercando di rigenerare un luogo del territorio: ci prendiamo cura dell’ambiente che lo circonda, abbiamo piantato ottanta cultivar appartenenti a specie antiche del territorio appenninico che preserviamo in qualità di “agricoltori custodi”.

 

Non usiamo concimi chimici, non volendo compromettere i cicli biogeochimici di fosforo e azoto: l’uso di fertilizzanti a base di fosforo, così come quello di concimi azotati, ha avuto come risultato l’inquinamento degli ecosistemi, delle falde acquifere e dei corsi d’acqua in essi inseriti, non siamo interessati a massimizzare le rese e manteniamo un buono stato di salute del suolo.

 

Essere consapevoli dei limiti diventa quindi il primo passo per evitare che l’eccessivo sfruttamento delle risorse della Terra ci conduca verso un futuro incerto e drammatico. 
Qualcuno dirà che questa nostra esperienza non risolve i problemi planetari, ma noi pensiamo che possa illuminare le coscienze e ci stiamo provando a dare l’esempio donando il nostro tempo, le nostre risorse e la nostra passione.
I nostri soci si sforzano, con le loro attività di volontari, di imparare ad intravedere la soglia, di accettarla e di non superarla perché solo così potranno continuare a vivere in un mondo prospero e desiderabile.

 

29 Dicembre 2021 0 comment
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Comunità

IL NOSTRO NATALE PENSANDO AGLI ALBERI

by Amministratore 20 Dicembre 2021

 

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Il Giardino della Memoria

IL GIARDINO DELLA MEMORIA RISPONDE APPIENO AD ALCUNI OBIETTIVI DELLA STRATEGIA NAZIONALE PER LA BIODIVERSITA’

by Amministratore 13 Dicembre 2021

 

 

Il Ministero della Transizione Ecologica ha redatto, con il contributo di ISPRA, la proposta della Strategia Nazionale Biodiversità 2030. Il testo si incentra sulla necessità di invertire, a livello globale, l’attuale tendenza di perdita di biodiversità e il ripristino degli ecosistemi.

 

L’elaborazione di una Strategia Nazionale per la Biodiversità (SNB) rientra tra gli impegni assunti dall’Italia, nel 1992, con la ratifica della Convenzione sulla Diversità Biologica.
La Strategia relativa al decennio 2011-2020 aveva definito tre obiettivi strategici: garantire la conservazione della biodiversità ed assicurare il ripristino dei servizi ecosistemici; ridurre in modo sostanziale l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità; integrare la conservazione della biodiversità nelle politiche economiche e di settore ponendosi, inoltre, una visione strategica al 2050 volta al ripristino, alla resilienza e all’adeguata protezione di tutti gli ecosistemi del pianeta, tenendo conto del valore della biodiversità per il contrasto ai cambiamenti climatici, la salute e l’economia.
La Strategia Nazionale Biodiversità 2030, in coerenza con la Strategia europea, conferma la Vision al 2050 e identifica due obiettivi strategici: costruire una rete coerente di Aree Protette terrestri e marine; ripristinare gli ecosistemi terrestri e marini, declinati in otto Ambiti di intervento (Aree Protette; Specie, Habitat ed Ecosistemi; Cibo e Sistemi Agricoli, Zootecnia; Foreste; Verde Urbano; Acque Interne; Mare; Suolo).
Una parte del documento è dedicata ai “Vettori”, ambiti trasversali di azione che possono facilitare, rafforzare e concorrere al raggiungimento degli obiettivi della Snb 2030 come, per esempio, rafforzare l’attuazione e l’applicazione della legislazione ambientale e promuovere l’economia circolare e migliorare le conoscenze, l’istruzione e l’educazione.
Per quanto riguarda le incidenze che la Snb 2030 avrà nello specifico sul settore agro-alimentare, si intende garantire un sentiero di sostenibilità non solo ai fini della salvaguardia e alla tutela delle varie componenti ambientali (suolo, acqua e biodiversità e tutti i servizi ecosistemici) ma anche del sostegno alle stesse funzioni produttive del settore.
Tra i delicati equilibri da garantire, si considera il ruolo degli insetti impollinatori rispetto all’uso eccessivo di prodotti fitosanitari pericolosi e alla riduzione dell’inquinamento causato dal rilascio di sostanze pericolose per la biodiversità e la nostra salute.
Anche gli elementi caratteristici del paesaggio sono essenziali per la produzione di una serie di esternalità positive, ad esempio, la fornitura di habitat, il contrasto all’erosione del suolo e l’aumento della fertilità, il miglioramento della qualità dell’acqua e l’aumento della sua quantità, la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Alcuni punti cruciali del piano strategico con i quali il Giardino della Memoria di Lucoli si rivela sintonico:
  • aver predisposto una riserva integrale di biodiversità vegetale con le cultivar appartenenti agli antichi pomari originarie dell’Aquilano;
  • aver predisposto un opera di restauro di un habitat e relativa connettività ecologica;
  • aver ripristinato uno stato di conservazione soddisfacente per le specie, tra cui uccelli (che trovano cibo nei frutti del Giardino) e insetti impollinatori
  • aver dimostrato alla comunità che è possibile un cambio di passo ecologico in tema di agricoltura;
  • aver realizzato iniziative didattiche sulla biodiversità indirizzate verso i giovani della comunità locale.
Già dalla piantagione del primo albero, simbolo del Giardino, ci siamo rivolti ai bambini

 

Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti in dieci anni di gestione di questo progetto dal valore morale ed ora scientifico, che merita di essere preservato e vincolato in sede regionale.

 

È utile ricordare che, a differenza del decennio scorso, la Strategia Europea per la Biodiversità (cui l’Italia deve dare attuazione) ha avuto un supporto politico di livello assoluto (dalla Presidente Ursula von der Leyen in giù) ed è stata sostenuta da un’importante risoluzione del Parlamento europeo.

 

Viviamo un momento storico davvero borderline. Possiamo cambiare la storia in meglio o continuare a farci del male. 
Ciascuno dei nostri soci sa che può influenzare, anche nel suo piccolo ambito, il cambiamento: nel bene e nel male, nel poco o nel tanto. 

 

Noi continuiamo con il nostro impegno, ognuno di noi per quello che potrà fare, il Giardino della Memoria di Lucoli è un passo verso la costruzione del cambiamento.

 

Veduta del Giardino della Memoria di Lucoli (foto Maimeri)

 

Nella sezione “Giardino dei Semplici” gli insetti impollinatori trovano molti fiori

 

 

 

13 Dicembre 2021 0 comment
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Il Giardino della Memoria

ENZO SEBASTIANI E IL GIARDINO DELLA MEMORIA

by Amministratore 1 Dicembre 2021

Senza questo grande uomo il Giardino della Memoria di Lucoli forse non esisterebbe o non sarebbe comunque lo stesso.

Enzo Sebastiani insieme al Sindaco dell’Aquila Biondi, al Direttore del Keren Kayemeth LeIsrael Arieli,  al Sindaco di Lucoli Chiappini ed al Vicepresidente Vicario del Consiglio Regionale Abruzzo Santangelo

 

Dopo undici anni di lavoro con la nostra Associazione Enzo cede il passo nella manutenzione del Giardino (con nostro grande rammarico) ma continuerà a darci forza e consigli positivi in qualità di Socio Onorario di NoiXLucoli: le sue piante, che vegetano nel Giardino, sono come figli e non li abbandonerà.
Enzo Sebastiani, aquilano, esperto botanico, ha lavorato per oltre cinquant’anni al vivaio forestale Mammarella di Sant’Elia (L’Aquila) prima gestito dal Corpo Forestale dello Stato e poi dalla Regione Abruzzo. Nei periodi di piena attività il Vivaio ha prodotto anche 6 milioni di piante.
Il lavoro di una vita lo ha portato a riscoprire oltre settanta varietà di frutta antica nei territori montani abruzzesi, da quello aquilano alle colline di Campotosto, Montereale e Farindola, fino a Ocre. Una vita intera dedicata alle piante, agli innesti, alla riscoperta della frutta antica, alla cura di migliaia di varietà di arbusti. Pere, mele, ciliegie, amarene, fichi, le varietà riscoperte sono frutto di un’accurata ricerca e un’attenta analisi del territorio che Enzo ha perlustrato scrupolosamente alla ricerca di alberi da frutto abbandonati.
Enzo ha visitato molte volte, prima di conoscerci, l’Abbazia di San Giovanni, la sua sfida era il Morus Nigra centenario che vi vegeta davanti: una pianta difficile da propagare che sembrava voler tenere per se i suoi segreti. Insieme a NoixLucoli, che ne ha capito il valore chiedendone la tutela come albero monumentale, l’ha curata preservandola dalle micosi che l’avevano colpita e dalle fratture dei rami che la minacciavano ed alla fine è riuscito anche a far vivere una talea che ha donato al Giardino della Memoria.

 

 

Enzo Sebastiani è il nostro mentore ci ha insegnato tutto: la sua passione per la botanica e la didattica ci ha contagiati e formati. La sua passione per i semi, a cui non resiste e ricerca in ogni luogo, ci ha insegnato la diversità dell’esistenza e l’equilibrio della qualità della vita. Ci ha fatto toccare con mano la biodiversità delle piante, che in caso di avversità, come le trasformazioni climatiche che stiamo vivendo, riescono ad adattarsi alle nuove condizioni.
Enzo è stata la nostra “banca dei semi” ha preservato molta della biodiversità frutticola dell’Aquilano, le parole che scriviamo non potranno mai conferirgli il pieno senso dell’affetto e della stima che nutriamo nei suoi confronti: lui ben sa che la nostra vita sulla terra dipende dalle piante e dalla capacità dei loro semi di farla nascere.  

 

La didattica per le scuole al Giardino della Memoria: Enzo Sebastiani docente

 

L’autorevolezza di un sapiente

Enzo in qualità di socio onorario della nostra Associazione seguirà le scelte botaniche del Giardino, collaborerà con il nuovo manutentore trasferendo lo storico degli interventi sulle piante e si occuperà dell’aggiornamento dei nostri soci.

 

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mela zitella del Giardino della Memoria
I frutti antichi

“Ab ovo usque ad mala”: DALL’UOVO FINO ALLE MELE LO DICEVANO I ROMANI

by Amministratore 22 Novembre 2021

 

Dalla pianta selvatica alle moderne varietà, il melo ha accompagnato la storia dell’uomo sia come frutto fresco, sia grazie ad alcuni suoi derivati come, per esempio, il sidro e la «apple pie», che è la classica torta di mele americana.Il melo selvatico europeo (Malus sylvestris) è un alberello, spesso cespuglioso, diffuso in tutta Europa, che vegeta ai margini dei boschi e nelle siepi campestri in singoli individui o in piccoli gruppi.Solo raramente riesce a svilupparsi pienamente nella forma arborea: in questi casi può raggiungere una dimensione considerevole, con un’altezza anche superiore ai 10 metri e una longevità di oltre 100 anni. Produce frutti relativamente piccoli (3-4 cm) che a maturità, tra luglio e settembre, sono di colore verde giallastro, duri, aspri e astringenti.Però, se si lasciano sovrammaturare, specie dopo i primi geli autunnali, la loro polpa perde parte dell’astringenza e dell’acidità e diviene dolce e succosa. 

Tutte queste caratteristiche non sfuggirono ai nostri più lontani antenati e così, dai tempi preistorici, il melo ha accompagnato la storia dell’uomo dando vita a diverse usanze e a forti tradizioni nel campo alimentare. 
Le antiche popolazioni europee, dapprima di cacciatori e raccoglitori poi, nel Neolitico (in Europa circa 8-9.000 anni fa), quelle dei primi agricoltori, raccoglievano e consumavano i frutti del melo selvatico insieme a tanti altri frutti polposi, quali quelli di sorbo, corniolo, sambuco e rovo. 
Mentre le popolazioni europee utilizzavano ancora mele selvatiche per produrre il sidro, gli abitanti dell’Asia centrale selezionavano le migliori piante del melo selvatico locale (Malus sieversi). 
A differenza del melo europeo, molto uniforme per le caratteristiche dei frutti sempre relativamente piccoli, duri, aspri e astringenti, i frutti del melo asiatico si distinguono per l’ampia variabilità nella pezzatura (da piccoli a molto grossi), nel colore (da verdi a giallastri e striati di rosso), nell’epoca di maturazione (da luglio a dicembre), nella consistenza della polpa (da succosa a carnosa) e nel sapore, che comunque, rispetto al melo europeo, risulta sempre molto più dolce a maturità. 
Quello che ora coltiviamo come melo domestico è proprio il risultato della selezione iniziata nella preistoria a partire dai migliori meli selvatici dell’Asia centrale dai frutti dolci e molto polposi. Il «significato biologico» dei frutti polposi è quello di favorire la dispersione dei semi in esso contenuti sfruttando l’ingestione da parte degli animali i quali, mangiando il frutto, ne diffondono i semi con le feci.Una ricerca di biologia evolutiva ha recentemente evidenziato come il melo centroasiatico sia co-evoluto con l’orso, quando invece l’evoluzione del melo europeo era avvenuta con il concorso degli ungulati. 
Gli orsi, a differenza di cervi, daini e caprioli, amano infatti il sapore dolce e non hanno difficoltà a ingerire frutti di grosse dimensioni, che anzi prediligono, mentre gli ungulati consumano regolarmente frutti aspri e piccoli, inadatti all’uomo. 
Dall’Asia centrale il melo domestico si è poi diffuso verso Oriente e verso Occidente e arrivò in Persia nel IIΙ secolo a.C., da dove raggiunse la Grecia e quindi l’Italia. 
L’adozione della mela a fine pasto è stigmatizzata dall’espressione latina usata nella Roma imperiale, che poi rappresentava gran parte del mondo allora conosciuto: «ab ovo usque ad mala», ossia «dall’uovo fino alle mele». Oggi diremmo: «dall’antipasto al dolce». 
Quando, attraverso la mediazione romana, le mele domestiche centroasiatiche giunsero in Gallia e in Britannia sul volgere del I secolo a.C., vennero rapidamente introdotte in coltivazione dai contadini di queste regioni celtiche sia per la produzione di frutta da mensa che per la produzione del sidro. 
Rispetto alle mele selvatiche europee, infatti, quelle domestiche centroasiatiche consentivano la produzione di un sidro migliore, tanto per la più elevata pezzatura dei frutti, quanto per la qualità superiore grazie al loro maggiore contenuto in zuccheri e la minore astringenza della polpa. 
I Romani non solo introdussero le mele domestiche nel cuore dell’Europa, ma avviarono anche la coltivazione del melo secondo le tecniche proprie di una frutticoltura molto progredita, in particolare la propagazione per innesto e la potatura, sia di allevamento che di produzione, che loro stessi avevano acquisito in precedenza in Grecia, Siria e Persia. 
La maggior parte delle varietà di melo che troviamo oggi sul mercato sono state costituite nel Nuovo Mondo, specialmente in America e in Nuova Zelanda. Una figura di spicco nella melicoltura americana è quella di John Chapman (1774-1847), detto appleseed «seme di melo», un pioniere la cui «missione» consisteva proprio nel realizzare meleti con piante ottenute da seme quali avamposti della conquista del West, in particolare Ohio, Indiana e Illinois. 
Grazie alla riproduzione per seme, nelle migliaia di ettari piantati da Chapman si manifestò l’enorme variabilità del melo che in Europa non si era mai espressa. Le nuove mele americane giunsero presto anche in Europa, dove furono protagoniste dello sviluppo della frutticoltura nel Dopoguerra. Golden Delicious e Red Delicious (con le sue innumerevoli variazioni clonali: Red Chief, Richared, Starking, Starkrimson, Starkspur, ecc.) furono presto tra le varietà più coltivate anche nelle nostre campagne e così le mele, grazie alla loro versatilità, continuano ad arricchire le tradizioni alimentari soprattutto delle cucine contadine. 
L’estinzione genetica di antiche varietà di melo di origine italiana è dovuta ai grandi circuiti commerciali, sviluppatisi negli anni ’50-‘60, con la conseguenza della perdita di molti genotipi locali e della loro varietà genetica. 
La nostra Associazione sta cercando di ripristinare l’antica coltura di genotipi ormai dimenticati come ad esempio quelli della Limoncella e della Gelata che sono allevati nel Giardino della Memoria di Lucoli insieme ad altre cultivar antiche. Queste specie si adattano meglio agli ambienti locali prevenendo la possibilità di diffondere solo individui geneticamente identici e garantendo un tasso di variabilità più alto. Salvando questi “frutti antichi” è possibile tutelare il patrimonio delle tradizioni locali, proponendo possibili metodiche di controllo delle produzioni ed eventuale diffusione di queste cultivar.

 

Mela Limoncella del Giardino della Memoria

 

22 Novembre 2021 0 comment
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Il Giardino della Memoria

IL 16 E 17 OTTOBRE DURANTE LE GIORNATE FAI E’ STATO VISITATO IL GIARDINO DELLA MEMORIA DI LUCOLI

by Amministratore 4 Novembre 2021
Quest’anno le Giornate FAI hanno interessato anche Lucoli: L’Abbazia di San Giovanni Battista ed il Giardino della Memoria e la Chiesa di San Menna.
Gli itinerari FAI hanno riguardato in generale borghi, percorsi naturalistici e visite a luoghi “verdi” quali ad esempio il Giardino della Memoria, poco conosciuto agli stessi abitanti delle città vicine e ciò nel solco del crescente impegno della Fondazione per la diffusione di una più ampia “cultura della natura”.
La Dottoressa Elena Sico Direttore del Dipartimento Agricoltura della Regione Abruzzo in visita al Giardino della Memoria

 

I visitatori sono stati accolti dal profumo dei fiori e delle erbe aromatiche, hanno percepito l’energia e l’intelligenza delle piante, la forza e l’ossigeno degli alberi, i colori accesi delle mele rosse (che hanno voluto in tanti degustare essendo totalmente biologiche).
I nostri soci hanno illustrato l'”antiquariato vegetale”, del territorio Aquilano, che viene allevato nel Giardino. I visitatori hanno percepito la nostra passione per la ricerca, per l’ archeologia arborea, mai separata da un approccio biologico.
I visitatori ammirano gli alberi ed i frutti antichi

 

Senza neanche saperlo, molti dei visitatori non avevano mai visto un albero di pere o mele cotogne, oppure di corbezzoli. Ancora oggi queste piante antiche rappresentano un patrimonio inestimabile per la biodiversità che è tutelata nel Giardino della Memoria di Lucoli e che vale la pena di ricominciare ad apprezzare, piuttosto che ricercare frutti esotici provenienti da paesi lontani, estranei alla nostra tradizione, magari pagandoli a caro prezzo.
Abbiamo spiegato ai numerosi visitatori che esistono molti frutti che sono scomparsi, o che vanno scomparendo dal mercato, e che per molti di noi sono sconosciuti perché sono diventati una rarità. Sono dei frutti solitamente “bruttini”, esteticamente non molto attraenti, magari con un gusto un po’ particolare: sono quelli che vengono chiamati “frutti antichi” (nel senso che in passato venivano maggiormente utilizzati).
I frutti antichi non sono altro che quei frutti che, soprattutto dal dopoguerra in poi, sono andati via via scomparendo dal mercato. Non per nostra scelta, ma come conseguenza dell’avvento della frutticultura industriale: un processo necessario e spesso inevitabile ma che, comunque, noi dobbiamo necessariamente subire.
Quando si parla di frutti antichi, ci si riferisce più precisamente a quelle specie vegetali già esistenti sul nostro territorio Aquilano oggi trascurate dalla nostra agricoltura, e scomparse dalle nostre tavole. Questo inesorabile processo di abbandono di coltivazioni agricole tradizionali, oltre che dalla produzione industriale di massa, è stato favorito anche dalle importazioni.

 

Una breve storia del Giardino della Memoria ed il suo significato morale e scientifico
Una delle cultivar più ammirate: la mela a candela

 

La cultivar del Pero cotogno

 

I visitatori accompagnati dal Prof. Giuseppe D’Annunzio
Il Giardino della Memoria di Lucoli sito di conservazione della Biodiversità Vegetale

 

Ringraziamo tutti i visitatori che hanno partecipato a questa iniziativa del FAI insieme abbiamo provato a chiudere gli occhi e per un attimo, ci siamo sforzati di tornare bambini, abbiamo provato a ricordare l’emozione che si prova nel trovare, dopo aver tanto cercato, un tesoro nascosto. Le mani che aprono, guidate dalla curiosità, uno scrigno e dentro la meraviglia: non denaro, né gioielli ma tanti piccoli frutti, soprattutto le mele, dai colori, dalle forme, dai sapori sconosciuti eppure misteriosamente familiari. Insieme abbiamo riscoperto e degustato i frutti antichi, preziosi perché raccontano del nostro passato, raccontano di noi e dell’identità della nostra terra. Molte persone si sono commosse: il Giardino della Memoria ha emanato anche in questa occasione sensazioni profonde.
Ringraziamo la Professoressa Vincenza Turco, Capo delegazione del FAI l’Aquila, per la vicinanza dimostrata a questo progetto.

 

 

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JoAnn Ugolini e Don Cushman
Il Giardino della Memoria

I NOSTRI SOSTENITORI TORNANO A VISITARE IL GIARDINO DELLA MEMORIA DI LUCOLI

by Amministratore 4 Novembre 2021
Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell’incontro, della seduzione e dell’avventura; la ventesima o centesima volta in cui si parla con un amico o si fa all’amore con una persona amata sono infinitamente più intense della prima. Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, come l’odissea […](Claudio Magris, l’Infinito viaggiare).
Il foliage del Giardino della Memoria – Ottobre 2021

 

JoAnn Ugolini e Don Cushman tornano da tanti anni a Lucoli a visitare il Giardino della Memoria e questo anno hanno adottato un secondo albero. Tornare in luogo è un po’ come rivedere un film (o rileggere un libro). La prima volta si è attratti dalle grandi emozioni, dalla trama, dai colpi di scena. Quando lo si rivede è come si fosse più attenti ai dettagli: si notano le scelte del regista, si presta più attenzione alle espressioni degli attori, a dialoghi che la prima volta erano scivolati via. Al ritorno è come se questo ingombro mentale che ti fa sentire in dovere di fare certe cose non ci fosse più……. e loro ritornano da dieci anni! E notano più di noi i particolari. 

 

JoAnn e Don vicino al Melo Romanella adottato quest’anno

 
Visitando il Giardino ci hanno chiesto se immaginavamo, dieci anni fa, che sarebbe divenuto un luogo così bello, loro tornando ne apprezzano la bellezza e l’armonia e annotano i cambiamenti, la nostra risposta è stata certamente negativa. La nostra “visione” del Giardino è intrisa di quotidianità, di fatica, di problemi da risolvere primo tra tutti quello dell’irrigazione: raggiungiamo l’equilibrio emozionale solo quando le piante stanno bene.

 

Melo Romanella

 

La famiglia Ugolini (originaria dell’Abruzzo) ha adottato un Melo Romanella piantumato al Giardino della Memoria che viene da un ceppo ritrovato a Scoppito (AQ). Si tratta di una qualità simile alla Mela Rosa (chiamata anche: pianella, rosetta, durella, appietta). Una varietà-popolazione il cui biotipo tradizionale si è individuato per lo più nell’area pre-appeninica dei monti Sibillini.
Il frutto è medio-piccolo, irregolare, di forma appiattita asimmetrica, buccia liscia di medio spessore od anche spessa, di colore verde intenso soffuso o striato di colore rosso-vinoso (comunemente detto rosa). Il frutto ha un peduncolo molto corto e presenta una rugginosità localizzata nella zona peduncolare. Polpa di colore bianco traslucido, soda, croccante, di sapore zuccherino acidulo e profumata, molto serbevole. Le piante della Mela Romanella presentano un’ottima resistenza al freddo ed i frutti manifestano una buona resistenza alla ticchiolatura ed alle più comuni avversità biotiche. Per tale motivo le piante risultano idonee per una coltivazione a basso impatto ambientale.
Oltre al consumo fresco, i frutti venivano utilizzati anche per cottura sotto brace o al forno o per confezionare vari tipi di dolci. Già dal tempo dei romani la Mela Rosa, poi chiamata Romanella, era conosciuta e molto ricercata, come affermato anche nelle satire oraziane di Quinto Orazio Flacco nel 65 a.C., grazie alla sua polpa acidula e zuccherina con un profumo intenso ed aromatico che permane in bocca.
Mela Romanella il frutto

Ringraziamo i nostri affezionati amici che ci sostengono e contribuiscono a far conoscere questa nostra esperienza in California dove vivono e per meglio ringraziarli li abbiamo messi a lavorare! Ci hanno aiutato a togliere le reti di protezione delle 9 piante che proteggiamo come Agricoltori Custodi.

 
L’occasione è buona per lavorare: tolte le reti protettive agli alberi posizionate per preservare i frutti

 

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Gillian Nevers
Il Giardino della MemoriaSenza categoria

THAT IS A PROMISE: IF WE CAN, WE WILL VISIT OUR ADOPTED TREE AND THE GARDEN OF REMEMBRANCE

by Amministratore 9 Ottobre 2021

Gillian and Dan Nevers
 
 
I’ve been trying to remember the last time I visited the Garden of Remembrance. It may have been as long ago as November, 2013.
 
It’s disturbing that I haven’t been back since then, but with changes in my Italian family’s lives – my son’s working in Naples and then Milan, and my two granddaughters attending university in Milan— Dan (my husband) and I have spent shorter periods of time, mostly weekends, in L’Aquila.
 
During those weekends, when not occupied with family events and activities, and without a car of our own, we spent our free time walking through the hilly streets of l’Aquila, taking stock of changes as the city is slowly rebuilt. There was little time to drive the short way to Lucoli, even if we had access to a car. Then, came Covid and all travel stopped.
 
Never dreaming that the world would be locked down for more than a year, we planned on traveling to Italy in Spring, 2020. Then, in Autumn of 2020. Then, in May of 2021 only to postpone our plans until October, 2021. It’s now October and the Delta variant and so many unvaccinated people have made it impossible for an October trip to happen. It goes on and on.
 
This all makes me very, very sad. But, there are bright spots. I’m fortunate to live in a community with a high vaccination rate, so although I cannot travel to another country, I can move about my community safely, especially out of doors. I’m also fortunate that there are many farmer’s markets where I live, and one is within a short walk from my home. Last Sunday the market stands were filled with the last of summer’s tomatoes and an abundance of squash—acorn, crook-necked, butternut-and apples. Best of all, my favorite apple orchard’s stand had a variety of pears.
 

I have a special fondness for pears-so, it’s fitting that the tree Dan and I adopted in the Garden of Remembrance is a pear tree. It’s a Williams, or as we call them in Wisconsin where I live, a Bartlett pear. There were no Williams pears last Sunday, so I purchased a dozen Harrows-a slightly smaller pear with similar texture and taste.

That afternoon I made a pear tart.

I recently learned that Lucoli derives it’’s name from the Roman word Lucus-meaning a green area, a place cultivated more like a wooded park than a forest. A scared grove. Walking home from the market, I crossed a vast park-like space with enormous trees native to Wisconsin. This green space was planted many years ago when a small woman’s college was founded by Dominican nuns. Although, I don’t know for certain if the space was meant to be a scared grove or if it were intended as a place for contemplation or memory, I always feel a sense of calm when I walk through it. And, when one of the beautiful trees falls in a storm or is cut down, I mourn it’s loss.
As I arranged slices of pears over the crust for the tart I was making, I thought about a scared grove thousands of miles away. An orchard conceived and planted and maintained by a group of dreamers who took an incredible tragedy and created a Lucus-a scared place for all to visit and remember those lost in the 2009 earthquake .
As I write this, I hope that Dan and I will be able to go to Italy in spring of 2022.
If we can, we will visit our adopted tree and the Garden of Remembrance.
That is a promise.
***
Ho cercato di ricordare l’ultima volta che ho visitato il Giardino della Memoria. Potrebbe essere stato tanto tempo fa, nel novembre 2013.
 
È inquietante che non siamo tornati da allora, ma con i cambiamenti nella vita della mia famiglia italiana – mio figlio ha lavorato a Napoli e poi a Milano, e le mie due nipoti frequentano l’università a Milano – Dan (mio marito) e io abbiamo trascorso periodi più brevi di tempo, per lo più nei fine settimana, a L’Aquila.
 
Durante quei fine settimana, quando non eravamo occupati da eventi e attività familiari e senza un’auto propria, trascorrevamo il nostro tempo libero passeggiando per le strade dell’Aquila, facendo il punto sui cambiamenti mentre la città veniva lentamente ricostruita. C’era poco tempo per andare a Lucoli, anche se avevamo la possibilità di avere un’auto. Poi è arrivato il Covid e tutti i viaggi si sono fermati.
 
Non ci saremmo mai sognati che il mondo sarebbe rimasto bloccato per più di un anno, abbiamo programmato di viaggiare in Italia nella primavera del 2020. Poi, nell’autunno del 2020. Poi, nel maggio del 2021 solo per rimandare i nostri piani a ottobre 2021. È ora ottobre e la variante Delta e così tante persone non vaccinate hanno reso impossibile che si realizzasse un viaggio di ottobre. 
Tutto questo mi rende molto, molto triste. Ma ci sono punti luminosi. Ho la fortuna di vivere in una comunità con un alto tasso di vaccinazione, quindi anche se non posso viaggiare in un altro paese, posso muovermi in sicurezza nella mia comunità, soprattutto all’aperto. Sono anche fortunata che ci siano molti mercati agricoli dove vivo, e uno è a pochi passi da casa mia. La scorsa domenica le bancarelle del mercato erano piene degli ultimi pomodori estivi e di un’abbondanza di zucca: ghiande, dal collo storto, butternut e mele. La cosa migliore è che il banco del frutticoltore preferito aveva una varietà di pere. 
Ho una predilezione speciale per le pere, quindi è giusto che l’albero che Dan e io abbiamo adottato nel Giardino della Memoria sia un pero. È un Pero Williams, o come la chiamiamo nel Wisconsin dove vivo, una pera Bartlett. Non c’erano pere Williams domenica scorsa, quindi ho acquistato una dozzina di Harrows, una pera leggermente più piccola con consistenza e sapore simili. Quel pomeriggio ho fatto una torta di pere.
Ho saputo da poco che Lucoli deriva il suo nome dal vocabolo romano Lucus, che significa bosco. Un bosco sacro. Tornando a casa dal mercato, ho attraversato un vasto spazio simile a un parco con enormi alberi originari del Wisconsin. Questo spazio verde è stato piantato molti anni fa quando un piccolo college femminile è stato fondato da suore domenicane. Anche se non so per certo se lo spazio fosse pensato per essere un bosco sacro o se fosse inteso come luogo di contemplazione o memoria, provo sempre un senso di calma quando lo attraverso. E, quando uno dei bellissimi alberi cade in una tempesta o viene abbattuto, piango la sua perdita.
Mentre disponevo le fette di pere sulla crosta per la crostata che stavo preparando, ho pensato a un memoriale di alberi a migliaia di chilometri di distanza. Un frutteto ideato, piantato e mantenuto da un gruppo di sognatori che hanno subito un’incredibile tragedia e hanno creato un Lucus, un luogo spirituale aperto a tutti da visitare per ricordare coloro che sono morti nel terremoto del 2009.
Mentre scrivo, spero che Dan ed io potremo andare in Italia nella primavera del 2022.
Se potremo, visiteremo il nostro albero adottato e il Giardino della Memoria.
Questa è una promessa.

 

 

Gillian e Dan sono i nostri soci del Wisconsin dal 2011, affezionati e sensibili, sempre interessati a NoiXLucoli: anche loro sono dei sognatori come noi.

 

9 Ottobre 2021 0 comment
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il restauro dei beni comuni
Il Giardino della MemoriaSenza categoria

2 OTTOBRE MANUTENZIONE DEI SOCI AL GIARDINO DELLA MEMORIA DI LUCOLI

by Amministratore 7 Ottobre 2021

Il Giardino della Memoria del Sisma di Lucoli è un luogo molto amato dai volontari che lo accudiscono e non solo da loro. 

E’ un monumento verde nato dalla solidarietà di molti e dedicato alle vittime del terremoto d’Abruzzo del 2009, in dieci anni è divenuto anche un “libro” vivente che contiene tante storie di piante, anche quelle delle mele che raccontano le vicissitudini delle loro esistenze nell’Appennino Aquilano. Anche la storia di altre specie come quella del rosmarino che gli antichi chiamavano la “rugiada del mare” e che difendeva le case dal male, era di buon auspicio per gli sposi, era l’erba della memoria, era l’elisir della giovinezza e nel nostro monumento verde si dispiega sulla  muraglia. La storia del Gelso che vegeta nel Giardino, propagato da quello ultracentenario che vive di fronte l’Abbazia di San Giovanni: il morus nigra, il “moro” dei contadini. Per una tradizione antichissima e leggendaria il colore delle “more” (bianche o nere) è fatta risalire a una triste faccenda d’amore che accadde in Babilonia, come documentò Ovidio, quella tra Piramo e Tisbe. I gelsi neri portano il lutto dei due innamorati, così pensavano i romani e non potevano prevedere che ai giorni nostri i morus nigra si stanno estinguendo mentre i gelsi cinesi (con more bianche) si diffondono.

Veduta del Giardino e dell’Abbazia di San Giovanni Battista (foto Manieri)

 

 
Il Giardino della Memoria non ci fa pensare solo alla botanica, alle sue leggende ed al giardinaggio ma anche ai luoghi della conca aquilana dove la pazienza del vivaista Enzo Sebastiani, che ci supporta da dieci anni, ha trovato molte delle cultivar antiche piantate in questo luogo, come la Mela zitella della foto che proviene da San Felice d’Ocre (da villa Antonini, cardiologo molto conosciuto all’Aquila).
Cultivar Melo Zitella

Trascorso un anno ci siamo ritrovati per lavorare alla manutenzione del Giardino come volontari dell’era Covid.

Il nostro intento non è stato quello di essere eroici (abbiamo le nostre paure sul contagio), ma di curare le piante e migliorare questo luogo, che è di tutti, anche smuovendo le coscienze, mostrare e percorrere strade, coltivare il senso di appartenenza solidale alla comunità. Ogni volta che ci incontriamo ci rimproveriamo perché si coinvolge una quota minoritaria della popolazione e quindi ci diciamo che dobbiamo trovare forme di impegno e linguaggi nuovi per fare in modo che molte persone possano beneficiare della bellezza del Giardino, della forza dell’aggregazione e dell’amicizia. È normale che esistano persone le quali non hanno propensione a impegnarsi in percorsi strutturati e duraturi magari all’interno delle associazioni, ma il volontariato è prima di tutto un modo di essere dentro la società, un modo di essere dell’individuo e trova la sua naturale propensione a creare comunità tramite relazioni di senso.
Il Giardino della Memoria ha un grande valore morale e quindi un “senso” condivisibile.

 

 

Restauro della “casa” dei nomi delle vittime del sisma del 2009

 

Realizzata una nuova aiuola all’interno del Giardino e nuove panchine che godranno dell’ombra della quercia.

 

La cura degli alberi: il Sorbo domestico adottato dagli amici californiani Ruth White ed Alan Block aveva bisogno di sostegni.

 

 

Dopo una giornata di lavoro la foto ricordo

 

Ringraziamo i Professori Giuseppe D’Annunzio e Fernando Lucchese per averci visitato al Giardino
Ringraziamo i nostri soci per esserci: pensiamo che ogni azione individuale di solidarietà, di costruzione di bellezza, di dare una mano per migliorare il bene comune di una comunità, conti.
Alla prossima!

 

 

Cultivar Melo cipolla

 

7 Ottobre 2021 0 comment
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Attività

IL NUOVO LIBRO DELLA RICERCATRICE BETI PIOTTO: IN UN SEME.

by Amministratore 27 Settembre 2021

Domenica 26 settembre al Museo Preistorico Pigorini di Roma si è parlato di semi per le Giornate Europee del Patrimonio 2021.

 

Beti Piotto, socia onoraria di NoiXLucoli, è un’ agronoma esperta di biodiversità, ed ha scritto insieme a Gioia Marchegiani il libro “In un Seme” .

alcune illustrazioni del libro

 

Proponiamo un’intervista di Beti Piotto pubblicata su “Topipittori”.

“Vero, verissimo: il seme posto a germinare è stato l’inizio della vita sedentaria, della pianificazione, della conservazione delle eccedenze, dell’urbanizzazione, dei mestieri, dell’industria e del commercio, del concetto di proprietà, delle classi sociali, della religione, della violenza organizzata. Di quello che chiamiamo civiltà. Nel bene e nel male il seme è all’origine di tutto ciò. Un’unica cosa da precisare: sono state le donne a gettare il primo seme, l’agricoltura nacque dalle donne, mentre gli uomini da cacciatori nomadi diventarono allevatori sedentari di bestiame.

Sono felice di aver scritto i testi di In un seme. Manuale per piccoli collezionisti di meraviglie. Come ricercatrice nel campo dei semi di specie spontanee avevo redatto rapporti tecnici destinati a studiosi, a specialisti di semi, a vivaisti; ovvero a soggetti adulti e addetti ai lavori. Mai prima d’ora mi era capitato di scrivere per i più piccoli, impegno rivelatosi più complesso di quanto immaginavo (diciamolo!). A trovare il linguaggio adatto mi ha aiutato l’esperienza di Gioia Marchegiani, magnifica illustratrice, efficace partner e figura complementare su tutti gli aspetti della costruzione del libro. Anche gli editori hanno limato, aggiustato, migliorato e, infine, ottimizzato il tutto, e di ciò sono molto grata.

Era chiaro, sin da quando ero piccola, che mi piacesse disegnare e colorare, ma a casa mia non era possibile alcuna spesa destinata a velleità artistiche: erano concessi soltanto percorsi finalizzati all’utilità con risultati concreti e immediati. Eppure il desiderio di usare mani e colori in me non si è addormentato, anzi, è rimasto sempre latente, come accade a ciò che dorme nei semi, e si è manifestato in lavori da autodidatta. Finalmente, il salto di qualità è stato l’approdo al gruppo coordinato da Gioia Marchegiani che nella sede del Parco dell’Appia Antica, a Roma, conduce corsi di acquerello en plein air. La prima cosa che mi ha chiesto Gioia è stata quella di rinnovare (anzi, di buttare) i miei pennelli e acquerelli perché non erano gli strumenti più adatti, e aveva ragione. In seguito l’interesse reciproco per le rispettive attività ha portato a scambi, conversazioni, osservazioni, telefonate che iniziavano con un «Senti un po’…» a cui seguivano mille domande e considerazioni. In natura questo fenomeno si chiama mutualismo: scambio reciproco fra specie diverse di azioni e reazioni. Qualcosa che somiglia molto a ciò che noi chiamiamo amicizia. Questo lavorìo del tutto casuale ha fatto da substrato al germogliare di In un seme. Sono un’agronoma, ma non si può dire che abbia scelto la Facoltà di Agraria per vera vocazione. La passione, però, nacque subito dopo studiando col severo professore Agustín Vildoza della Facoltà di Agraria di Rosario (Argentina). Lui mi ha fatto amare l’impresa di Nikolaj Vavilov, l’agronomo sovietico che nel secolo scorso, tra gli anni Venti e Quaranta, a Leningrado, organizzò la prima banca del seme al mondo, tuttora attiva, perché aveva capito che la diversità era il motore della vita e la base del miglioramento genetico. La Russia dell’epoca usciva da una sorte di Medioevo e doveva essere sfamata, perciò il genio di Vavilov, un ricercatore dall’irresistibile carisma, formò un pool di studiosi esperti nella conservazione di quei semi che sarebbero serviti alla creazione di nuove varietà. Orgogliosi del loro lavoro, questi tecnici hanno impedito che la collezione di semi (in gran parte commestibili) fosse intaccata durante il terribile assedio nazista a Leningrado. Durante il blocco tedesco molti operatori morirono per denutrizione, ma la banca del seme rimase inviolata. Su questo fatto storico, che mi commuove per il suo significato potentissimo, sono stati scritti diversi romanzi non molto noti in Italia. Vavilov era uno spirito libero che in tempi di teorie di supremazia razziale se ne andava tranquillamente per congressi in Europa, affermando che non ci sono razze, che nessuna etnia è superiore all’altra perché tutti i gruppi umani sono stati ugualmente capaci di sviluppare l’agricoltura senza scambi culturali (i Maya vivevano della coltura del mais, ma niente sapevano delle altre civiltà). Mi piacerebbe molto che un giorno questa storia di lungimiranza, di uso pacifico della scienza e di grande senso del dovere possa essere raccontata anche ai più giovani. Meriterebbe senz’altro un film (da notare che Luca Zingaretti somiglia molto a Nikolaj Vavilov e potrebbe impersonarlo, perché no?). Purtroppo la sua vita finì tragicamente: venne imprigionato e lasciato morire nel 1943 per una miscela velenosa di invidie scientifiche personali e assurde questioni politiche. Ma questo sacrificio non fa che rendere la sua figura ancora più grande. Profonda ammirazione ho avuto anche per l’agronomo italiano Nazareno Strampelli (1886-1942) che con il suo lavoro intelligente e disinteressato quasi raddoppiò la produzione di grano dell’Italia che, come la Russia di Vavilov, doveva essere sfamata. A mo’ di bandiera mi sono scelta questi due campioni, veri e propri giganti, che con i semi ci sapevano davvero fare. «Se devi scegliere un modello da imitare, che sia strepitoso» ha detto Woody Allen.

Subito dopo la laurea in Argentina, grazie a una borsa di studio sono venuta a studiare in Italia negli istituti di ricerca dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta da cui, poi, fui assunta per lavorare al Centro di Sperimentazione di Roma. In questa sede, fondamentale per la mia pratica e formazione, ho iniziato a studiare la fisiologia dei semi delle specie forestali spontanee (quasi tutte sono spontanee, pochissime quelle coltivate). In diversi paesi del mondo ho potuto frequentare istituti di ricerca che conducevano studi specifici; ho fatto stage e ho visitato molti vivai forestali, dagli immensi vivai canadesi e svedesi a quelli ben più modesti del Pakistan e della Malesia.

Tutto ciò per fare fronte a una situazione che si era venuta a creare in Italia: per un lungo periodo, e fino alla metà degli anni settanta, il rimboschimento, che troppo spesso impiegava conifere non autoctone, ha costituito il principale intervento attivo della politica forestale italiana, era finalizzato alla tutela e al riassetto idrogeologico del territorio, ma anche frequentemente a fini produttivi. L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970) prevedeva che le competenze in materia forestale in generale e di rimboschimenti in particolare fossero regionali. Questa novità istituzionale creò uno stallo in campo forestale, dovuto alle riorganizzazioni regionali. Ebbe anche l’effetto di far emergere la consapevolezza della necessità di eseguire i rimboschimenti, produttivi o protettivi che fossero, tenendo conto delle tante specie di alberi e arbusti autoctoni (la biodiversità!) che formano i boschi italiani. Oltretutto, si prese atto che queste specie nostre sono in grande maggioranza latifoglie e non conifere. In tale contesto si è inserito il mio lavoro e quello di tanti altri ricercatori, perché la fisiologia dei semi delle nostre latifoglie è spesso molto (ma molto) complessa. Mentre le specie di conifere impiegate nei rimboschimenti del passato erano facili da produrre in vivaio in quanto bastava seminare al momento giusto, i semi delle latifoglie mostrano spesso dormienze* primarie più o meno profonde che hanno bisogno di trattamenti per rimuovere le inibizioni e per consentire una germinazione abbastanza simultanea, in modo tale da facilitare la gestione in vivaio.

*La dormienza è lo stato fisiologico in cui si trova un seme che, pur in condizioni favorevoli alla germinazione, è incapace di germinare.

È chiaro che per arrivare alla produzione di un semenzale c’è bisogno di conoscere, al meno in parte, l’universo che lo circonda: l’impollinazione, la dispersione naturale del seme, la modalità della sua raccolta a fini produttivi, la conservazione del seme (non sempre possibile per lunghi periodi), i trattamenti che precedono la semina, la possibilità di conservare il seme di cui sono già stati rimossi gli inibitori della germinazione, la germinazione stessa. Una serie di problemi difficili che abbiamo affrontato, non sempre con successo, per ognuna delle tante nostre specie caratterizzate da esigenze assai diverse. Diversità che parla chiaro sulle formidabili strategie di sopravvivenza che la natura ha sviluppato in milioni di anni, e che abbiamo la responsabilità di conoscere e di considerare con rispetto e ammirazione.

Ecco, questi sono gli elementi, l’esperienza e gli studi su cui poggia In un seme. Mano nella mano con i semi (fil rouge del libro), volevamo raccontare il valore della diversità in modo semplice, ma senza perdere in precisione. In questi tempi minacciosi di riscaldamento globale abbiamo voluto comunicare che nella diversità si trovano le risorse per adattarci ai cambiamenti e consentire la naturale evoluzione della vita. Nella diversità, se guardata con attenzione, si trovano soluzioni pronte a problemi quotidiani.

Attraverso la scienza vorremmo creare coscienza”.

 

 

Tratto da https://www.topipittori.it/it/topipittori/il-valore-della-diversit%C3%A0

https://www.topipittori.it/it/catalogo/un-seme

Una bella foto di Beti Piotto al Giardino della Memoria di Lucoli

 

 

27 Settembre 2021 0 comment
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