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Ambiente

IL PIANO NAZIONALE DI ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI E’ AGGIORNATO. SI RIUSCIRA’ A CALARLO NEI TERRITORI?

by Noi x lucoli 30 Dicembre 2022

Finalmente dopo che è stato fermo per diversi anni, è stato pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Il testo, aggiornato rispetto alla versione del 2018, sarà ora sottoposto alla consultazione pubblica prevista dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica. Si tratta di uno strumento di programmazione essenziale.

Già l’avvio di questo importante strumento è di fondamentale importanza, inoltre oltre a trattare di diversi ambiti, ciò che va maggiormente evidenziata è l’attenzione al nostro patrimonio culturale-architettonico e al paesaggio.

La conoscenza dell’impatto dei cambiamenti climatici sul patrimonio culturale in Italia si basa, innanzitutto, sull’identificazione dei parametri climatici prioritari che ne determinano il degrado sia in ambiente esterno (principalmente patrimonio architettonico, archeologico, etc.) che in ambiente interno (musei, chiese, ipogei, etc.).

La valutazione della vulnerabilità e dei rischi cui il patrimonio culturale della tradizione agricola e non solo è soggetto, lo studio dei diversi materiali che costituiscono i beni diffusi sul territorio e le forme di degrado che li interessano – in relazione alle particolarità ambientali, alle caratteristiche del paesaggio, all’impatto antropico – costituiscono il tema prioritario nella messa a punto di strategie di protezione, controllo e prevenzione del danno per la conservazione del patrimonio culturale stesso.

Inoltre, per quanto riguarda il paesaggio, la sua vulnerabilità legata all’evoluzione di fattori culturali e socioeconomici è aggravata dalla presenza di rischi naturali, connessi alla realtà fisica del suo ambiente, fra i quali assumono un ruolo rilevante sia le caratteristiche geomorfologiche sia i fattori climatici del contesto territoriale. Con riferimento diretto ai rischi climatici, è utile citare il surriscaldamento termico che sta creando problemi di trasformazione del paesaggio con lo spostamento in quota dei limiti altitudinali delle fasce di vegetazione, mentre, sempre a titolo di esempio, la vulnerabilità dei paesaggi dell’area mediterranea, per sua natura più calda e arida, risulta essere fra le più critiche per i processi di desertificazione in atto, oltre alla registrata tendenza di incremento della frequenza di eventi estremi che comporta un aumento di rischio di danneggiamento e di perdita irreversibile di paesaggi ed edifici storici.

È necessaria sicuramente l’unione di diversi campi scientifici, tra cui climatologia, fisica dell’atmosfera, idrologia, idraulica, geologia, geomorfologia, idrogeologia, ingegneria geotecnica, scienze del suolo, scienze ambientali.

La nostra Associazione è impegnata in un territorio montano e siamo particolarmente attenti ai cambiamenti climatici che ci circondano. In generale la criosfera, l’insieme di neve, ghiacciai e permafrost, è fortemente impattata dai cambiamenti climatici: negli ultimi decenni la durata e lo spessore della neve si sono fortemente ridotti così come lo stock idrico nivale che si accumula ogni anno a fine inverno. I ghiacciai hanno già perso dal 30 al 40% del loro volume. Le montagne sono un territorio particolarmente sensibile ai pericoli naturali legati essenzialmente all’intensificazione del ciclo dell’acqua ed ai cambiamenti della criosfera entrambi fattori importanti nel controllo della stabilità di pareti e versanti.  La degradazione del permafrost può ridurre la stabilità dei pendii e incidere sulla stabilità delle infrastrutture in alta montagna (funivie, rifugi, edifici, tralicci). Le valanghe di ghiaccio, la caduta di seracchi e lo svuotamento improvviso di sacche d’acqua glaciali sono processi legati all’interazione tra il riscaldamento globale e la naturale evoluzione dei ghiacciai. Infine, è fondamentale sottolineare come i cambiamenti climatici stanno modificando le attività alpinistiche. Molti itinerari sono stati modificati e rivisti. Coerentemente con le recenti Direttive del Dipartimento Protezione civile nazionale, l’azione delle autorità responsabili deve essere rivolta esclusivamente alle zone antropizzate e alle infrastrutture, mentre l’attività alpinistica deve essere lasciata alle valutazioni del singolo alpinista e dei professionisti della montagna come le Guide alpine.

Maggiormente ci interessano (e angustiano) le modifiche del ciclo idrologico e il conseguente aumento dei rischi che ne derivano. Le risorse idriche sono fondamentali per uno sviluppo equo e sostenibile e la sicurezza idrica è un requisito fondamentale per lo sviluppo economico, la produzione alimentare, l’equilibrio sociale, la competitività delle imprese e la tutela dell’ambiente naturale. Nel 2020 si è registrato un calo delle precipitazioni rispetto al periodo climatico 1971-2000 (CLINO: Normale Climatologica di riferimento). Di conseguenza l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha classificato l’Italia come un paese soggetto a stress idrico medio-alto. Il nostro Giardino della Memoria del Sisma del 2009 vive in continuo stress idrico nei mesi estivi. Le scarse precipitazioni e gli interventi antropici rendono la disponibilità di acqua ancora più carente provocando molte patologie alle piante da frutto.

Nelle foto la carenza idrica provoca la caduta dei frutti. Foto di Fausto Moretti

A seguito dell’approvazione del PNACC si aprirà una seconda fase del percorso, finalizzata a garantire l’immediata operatività del Piano mediante il lancio delle azioni e si prevede la pianificazione ed attuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori attraverso la definizione di priorità, ruoli, responsabilità e fonti/strumenti di finanziamento dell’adattamento e, infine, la rimozione sia degli ostacoli all’adattamento costituiti dal mancato accesso a soluzioni praticabili, sia degli ostacoli di carattere normativo/regolamentare/procedurale. I risultati di questa attività convergeranno in piani settoriali o intersettoriali, nei quali saranno delineati gli interventi da attuare.

Una volta approvato con Decreto ministeriale, si insedierà anche:

  • l’Osservatorio Nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano attraverso l’individuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori. Definirà le priorità, individuerà i soggetti interessati e le fonti di finanziamento, oltre che le misure per rimuovere gli ostacoli all’adattamento. I risultati di questa attività potranno convergere in piani settoriali o intersettoriali, nei quali saranno delineati gli interventi da attuare.
  • Un Forum permanente, per la promozione dell’informazione, della formazione, e della capacità decisionale dei cittadini e dei portatori di interesse.
Su quali attività saranno coinvolti i singoli territori?
Sulla conoscenza delle criticità geologiche e idrauliche di riferimento e sui rischi ad esse associati; sul miglioramento dei modelli per la simulazione e la previsione degli impatti su differenti orizzonti temporali; sul miglioramento del monitoraggio del territorio per la produzione di basi dati aggiornate; sul miglioramento della gestione delle emergenze da parte delle amministrazioni a tutti i livelli e aumento della partecipazione della popolazione; sul miglioramento della gestione e della manutenzione del territorio; sul miglioramento della conoscenza dello stato dei manufatti e delle infrastrutture per aumentarne la resilienza.

Ci auguriamo che quanto illustrato non rappresenti solo i buoni propositi della politica: se l’aspettativa è quella di vedere crescere la temperatura media di 1,2 gradi l’emergenza idrica per il Giardino della Memoria potrebbe risultare drammatica. Ciò comporterà inevitabilmente ondate di caldo eccezionali come quelle del 2022. 

30 Dicembre 2022 0 comment
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la mela a cipolla eredità del territorio
Ambiente

UN BUON PROPOSITO PER LE FESTE DI NATALE

by Noi x lucoli 4 Dicembre 2022

Con questo post vorremmo esprimere dei buoni propostiti per le Feste perché non parliamo di salvare la Terra?

Questo sembra essere l’imperativo globale del nostro tempo. Ma i più intendono la Terra intesa come Pianeta, la Terra in astratto, la Terra come globo. Poi in concreto, lasciamo che i poteri forti dell’industria del cibo cancelli i prodotti autoctoni di un territorio. E’ quel che avviene con l’umanità: chi ama l’umanità in generale, notavano sia Dosteveskij che Leopardi, di solito è indifferente se non ostile agli uomini che gli sono vicini. Amano l’umanità in astratto, la detestano in concreto, fino a sostituire gli uomini con creature artificiali, geneticamente modificate, intelligenze artificiali, robot e postumani. Spesso la guerra contro la natura, si accanisce a partire dalla terra e dai suoi prodotti.

La sostituzione della terra è quel che precisamente avviene ogni volta che si preferisce l’artificiale al naturale, il geneticamente modificato al genuino, il cibo globale al cibo prodotto a chilometro zero. Noi da sempre vogliamo difendere la terra e i territori, sostenendo il principio di prossimità.

Per rilanciare l’agricoltura vanno compiuti tanti atti concreti, ma c’è un atto preliminare da compiere nelle nostre menti e nei nostri cuori: tornare alla terra, considerarla come il nostro habitat naturale, amare e preservare la nostra terra. Le radici sono una risorsa primaria per la natura e l’identità dei popoli, va salvaguardato il nesso vitale tra radici e frutti. Abbiamo trasformato questi principi in realtà quando dodici anni fa abbiamo cominciato a fare i contadini del Giardino della Memoria, reinventando noi stessi.

Per noi la cultura è culto e coltivazione, ossia è legame tra cielo e terra, tra sacro e lavoro nei campi, capacità di guardare in alto e di restare saldamente con i piedi per terra.

Non riusciremo a salvare i nostri beni culturali e naturali, i paesaggi e i territori senza un amore conservatore per la natura, la storia, la tradizione, le radici dell’una e delle altre.

L’Italia, non è un potenza mondiale demografica o economica, militare o tecnologica, ma è la superpotenza mondiale per i beni culturali e per il cibo; il suo primato è nell’intreccio tra arte e natura, tra paesaggi e retaggi, tra cultura e alimentazione. Non si tratta di chiudersi in una sorta di autarchia alimentare, ma di dare una risposta adeguata, attiva, non passiva, alla globalizzazione e alla standardizzazione planetaria del cibo.

Sulla sovranità alimentare, si sono sprecati molti commenti a proposito dell’omonimo ministero, ma un ministero della sovranità alimentare c’è anche in Francia; e pure il patron dello slow food, Carlo Petrini, riconosce il fondamento di una definizione del genere e di una battaglia in questa chiave. Semmai bisogna preoccuparsi che non resti solo un nome, una parola. Sovranità alimentare vuol dire anche tutelare il principio di prossimità, valorizzare l’economia agricola e reale nostrana, a partire dal chilometro zero, attivare una filiera conseguente, difendere i prodotti nostrani. E soprattutto amare la Terra, si, la Terra tutta, ma a partire dalla propria; amare la terra dei padri e fecondarla e consegnarla ai figli. I frutti antichi del Giardino della Memoria sono una realtà.

Lasciare i territori ai figli anche ripulendoli dai rifiuti che, con leggerezza criminale, si abbandonano in luoghi protetti e splendidi come Campo Felice.

Amiamo la nostra terra ma dovremmo essere di più a fare qualcosa di tangibile.

I nostri soci raccolgono rifiuti a Campo Felice

4 Dicembre 2022 0 comment
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Ambiente

ATLANTE ITALIANO DELL’ECONOMIA CIRCOLARE: un viaggio nell’Italia della circolarità.

by Noi x lucoli 20 Novembre 2022

Abbiamo voluto riprendere questo interessante articolo dalla rivista “INNESTI” perché i nostri soci da ben dodici anni realizzano attività di recupero di oggetti e li trasformano per rendere accogliente il Giardino della Memoria di Lucoli, basti pensare ad esempio alle panchine realizzate con le macerie del terremoto  o all'”hotel degli insetti” relizzato con legno d’avanzo.

NoiXLucoli come Associazione crede nella bontà del modello dell’economia circolare e le attività che realizza implicano, per quanto possibile, condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti. In questo modo si vuole estendere il ciclo di vita degli oggetti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo.

le panchine realizzate con le macerie del terremoto e legni dei cantieri

“Per scegliere esperienze virtuose occorre anzitutto conoscerle”: proprio da questa riflessione inizia nel 2016 il viaggio nell’Italia dell’economia circolare. Perché il progetto nasce dall’intelligenza collettiva del CDCA, primo Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali, che ha fatto della mappatura il suo strumento specifico per la diffusione di conoscenza sulla giustizia ambientale. Dopo aver censito e raccontato per anni i conflitti ambientali che insistono sui nostri territori, è venuta spontanea la scelta di usare un atlante web anche per mettere in rete e dare visibilità a chi fa economia realizzando processi di produzione e servizi virtuosi, a minimo impatto, equi e ad alto valore sociale e territoriale.

Prima del lancio si è lavorato alla definizione di quella che è l’economia circolare: un sistema economico equo, basato sull’uso e il riuso consapevole dei beni e delle risorse e quindi sulla prevenzione dei rifiuti, che parta dalla progettazione di beni che possano durare il più a lungo possibile grazie anche a servizi di cura e condivisione. Grazie alla collaborazione con il comitato scientifico è stata elaborata la griglia dei criteri della circolarità, organizzati in dieci dimensioni: sette dimensioni di circolarità e tre dimensioni di sostenibilità ambientale e sociale.

Oggi l’Atlante conta oltre 280 realtà da Nord a Sud Italia.
Chi consulta l’Atlante compie un viaggio tra imprese, cooperative sociali, associazioni, enti di ricerca e pubbliche amministrazioni che operano tra diciotto categorie merceologiche: dal settore tessile a quello dell’architettura, da quello agroalimentare a quello dell’igiene per la casa e la persona, dal mondo dello sport a quello artistico, e così via. Ognuna di queste realtà è un seme di speranza.

Spesso si tratta anche di percorsi di emancipazione economica e sociale che si intrecciano con il tentativo di tutelare l’ambiente. Come quello di Ri-Generation che dà una vita nuova agli elettrodomestici e un’opportunità lavorativa a chi vive situazioni di complessità, migranti e non.

La ricerca di queste storie ha consolidato molte riflessioni. Se da una parte c’è chi, anche da tempi non sospetti, applica più o meno consapevolmente i principi dell’economia circolare, dall’altra c’è un tessuto socioeconomico ancora poco preparato a recepire il passaggio da un’economia di tipo lineare, che sfrutta le risorse del pianeta e le persone per farne una rapida occasione di profitto, a una circolare.

L’Atlante ha un triplice obiettivo.

Il primo è aiutare chi ha voglia e la possibilità di riorientare i propri consumi a individuare realtà che nel nostro Paese pensano e fanno economia in modo nuovo e finalmente sostenibile.
Il secondo è soddisfare la necessità delle realtà di incontrare altri attori della filiera o extra-filiera per condividere risorse ed esperienze per chiudere i cicli dei materiali.
Infine è uno strumento di ricerca aperto a chiunque voglia avere un quadro, anche se non esaustivo, dello stato dell’arte. Quello che emerge chiaro dall’Atlante è che la circolarità è un insieme di innovazioni tecnologiche, sociali e culturali.
Ma anche una ricerca di sintesi tra il nuovo e contemporaneo e il recupero di mestieri artigianali e soluzioni antiche; una mediazione tra pratiche proposte dal basso e quelle calate dall’alto. E tutto questo si muove tra normative, politiche e strategie nazionali in divenire.

 

20 Novembre 2022 0 comment
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Ambiente

Finalmente, dopo trent’anni, nuove “Disposizioni per lo sviluppo e la valorizzazione delle zone montane”

by Amministratore 9 Maggio 2022
Giovedì 10 Marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge contenente «Disposizioni per lo sviluppo e la
valorizzazione delle zone montane» – frutto di un lavoro di consultazione inclusivo finalizzato a garantire l’accessibilità a tutti i servizi essenziali anche in montagna, promuovendo lo sviluppo di attività imprenditoriali agricole e forestali, giovani e innovative.
I territori montani rappresentano una risorsa importante per un Paese come l’Italia, che possiede l’intero versante meridionale delle Alpi ed è percorsa dall’Appennino. Per questo, una legge specifica per lo sviluppo e la valorizzazione delle montagne, che ha visto, tra gli altri, il contributo del mondo accademico italiano e degli operatori della montagna, riuniti nel Tavolo Tecnico Scientifico (TTS), è un grande e importante risultato per l’incremento della competitività del Paese.
L’iniziativa è nata con gli obiettivi di contrastare lo spopolamento delle aree montane e di creare opportunità e occasioni per le giovani generazioni desiderose di continuare a vivere e lavorare in questi territori.
Il disegno di legge, prevede tre direttive di intervento (servizi essenziali, sanità e scuola) da attuare nell’ambito della Strategia Nazionale per la Montagna Italiana (SNAMI), mira a garantire l’accessibilità a tutti i servizi essenziali anche in montagna, promuovendo lo sviluppo di attività imprenditoriali agricole e forestali, giovani e innovative. Queste iniziative verranno attuate grazie all’istituzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (FOSMIT) con uno stanziamento di 100 milioni di euro per il 2022 e di 200 milioni a decorrere dal 2023.
Si è voluto porre al centro la figura del montanaro nella sua dimensione individuale e di comunità, lo sviluppo integrale della montagna, che vede nei giovani la capacità di ripopolamento e rifunzionalizzazione.
Ci sono benefici immediati che la nuova legge porterà, primi tra tutti gli incentivi per chi sceglierà di vivere e lavorare in montagna: insegnanti e medici su tutti, due figure che scarseggiano sempre più in quota. Si tratta il tema dell’agricoltura di montagna, con specifiche agevolazioni e l’incentivo per i professionisti della montagna, come maestri di sci e guide alpine.
Quindi come primo risultato si vuole garantire anche in montagna la fruibilità di tutti i servizi essenziali, dalla sanità alla scuola: chi sceglie di fare il medico o l’insegnante in Comuni montani avrà delle agevolazioni. «Io resto in montagna»: è una misura che prevede detrazioni sul mutuo per chi, con meno di 41 anni, acquista una prima casa in un Comune montano. Ci saranno misure fiscali ad hoc per i giovani che avviano una propria attività in montagna; e poi si prevede un credito di imposta per gli imprenditori agricoli e forestali che investono nella eco sostenibilità nei Comuni montani.
Ora dobbiamo arrivare all’approvazione in Parlamento.
Si pensa al via libera definitivo da parte delle Camere entro l’estate.
Il prof. Giovanni Cannata, Presidente Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise pensa che il provvedimento sia un’occasione per mettere in attenzione la problematica delle terre alte nelle quali insistono molti dei Parchi e delle aree protette che debbono essere sempre più considerati come laboratori per lo sviluppo sostenibile. Auspica che sia data particolare e inderogabile attenzione alla copertura digitale dei territori quale prerequisito indispensabile per ogni azione di conservazione attiva e sviluppo.
Si associa anche NoiXLucoli, come custode della biodiversità vegetale, auspicando una pronta approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, della nuova legge sulla montagna che rappresenta un momento estremamente importante per tanti territori che aspettavano da quasi trent’anni un provvedimento organico, necessario per favorire lo sviluppo di molti Comuni svantaggiati, per valorizzare le specificità delle terre alte.

Campo Felice il lago niveo

9 Maggio 2022 0 comment
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Ambiente

TUTELA DEL'”L’AMBIENTE, LA BIODIVERSITA’ E GLI ECOSISTEMI, ANCHE NELL’INTERESSE DELLE FUTURE GENERAZIONI” NELLA COSTITUZIONE

by Amministratore 15 Febbraio 2022
Inserire nella Carta la tutela dell’”ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, vuol dire avere una visione più ampia nelle decisioni politiche. Superare la tradizionale tendenza della politica, della democrazia e dell’economia a essere schiacciate sulle esigenze del presente.

 

Per tantissimi anni i governi, Re o Imperatori e anche le democrazie hanno pensato soltanto agli effetti immediati delle decisioni. Forse per l’abitudine a interessarsi soltanto dei problemi vicini, nel tempo e nello spazio. Forse per la mancata abitudine a programmare, a prevedere per mancanza di visione.
La scorsa settimana il nostro Parlamento ha approvato la riforma che inserisce all’art. 9 della Costituzione la tutela del “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
E’ molto importante proprio l’ultimo inciso, che obbliga a concepire decisioni pensando al loro impatto sul futuro.
Sono una cinquantina d’anni che si è iniziato a parlare di diritti delle generazioni future, soprattutto a partire dalle campagne di tutela degli oceani di Jacques Cousteau.
Così si è fatta strada l’esigenza di tutelare l’ambiente e i cambi climatici, di considerare anche i diritti di coloro che verranno quando si incide su patrimonio culturale, ingegneria genetica e sviluppi bioetici, robotica, welfare e dinamiche economiche, perché anche il debito pubblico e le pensioni incidono sulle generazioni future.
In buona sostanza, si tratta di una visione più ampia nelle decisioni politiche. Si devono considerare anche la debolezza o vulnerabilità degli interessi delle generazioni future, superando la tradizionale tendenza della politica, della democrazia e dell’economia a essere schiacciate sulle esigenze del presente.
Lo avevano già riconosciuto in Costituzione la Germania, la Svezia, la Polonia, il Lussemburgo, Malta.
Da noi era intervenuta in maniera significativa la Corte Costituzionale, riconoscendo la tutela dei diritti delle generazioni future nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema: lo Stato può e deve porre limiti invalicabili “nell’apprestare cioè una «tutela piena ed adeguata», capace di assicurare la conservazione dell’ambiente per la presente e per le future generazioni” (sent. n. 288 del 2012).
E, ancora, nella sostenibilità dei bilanci: “L’equità intergenerazionale comporta, altresì, la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo” (sent. n. 18 del 2019). Ma ora il riconoscimento in Costituzione rende stabile e solido il principio: tener conto delle future generazioni costringe a ripensare i meccanismi della democrazia politica e delle maggioranze legislative. Un riconoscimento importantissimo per guardare lontano.

 

Saranno all’altezza i nostri governanti?

 

 

NoiXLucoli OdV custodisce da undici anni la biodiversità locale nel Giardino della Memoria di Lucoli già presentato come esperienza regionale in uno dei quaderni ISPRA sinora pubblicati. 
Le storiche varietà locali rappresentano anche un presidio e un punto di riferimento per le politiche di tutela della biodiversità nell’interesse delle future generazioni. Siamo orgogliosi dei nostri sforzi.

 

 

 

15 Febbraio 2022 0 comment
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Ambiente

Il 05 Febbraio 2022 – Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare

by Amministratore 27 Gennaio 2022
L’UNEP (United Nations Environment Programme) è il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1972.

 

L’UNEP monitora costantemente l’evoluzione di pratiche e azioni che danneggiano l’ambiente a livello mondiale e pubblica un rapporto annuale che fotografa la situazione: il Food Waste Index Report.
Il Rapporto 2021 è stato dedicato all’analisi dell’impatto dello spreco alimentare sull’ecosistema, e sono emersi dati preoccupanti.

 

 

Le stime ci dicono infatti che una percentuale tra l’8 e il 10% delle emissioni di gas serra globali è legata allo spreco alimentare. Ogni anno circa il 17% del cibo coltivato, finalizzato e venduto viene buttato. Il 61% dello spreco avviene tra le mura domestiche, il 26% lungo la filiera e il 13% nella distribuzione.

Solo conoscendo bene il fenomeno è possibile pianificare e creare programmi di azione mirati.

 

Altrettanto importante è il grado di consapevolezza rispetto al fenomeno. La nostra vocazione è ambientalista e conservatrice della natura e ci appassioniamo a questi temi.

 

Mangiare tutto il cibo che compriamo non è un lavoro, e può rivelarsi anche meno impegnativo di quanto si immagini. A partire dal fatto che sprecare meno significa anche risparmiare denaro e risparmiare tempo, quello necessario per fare viaggi extra al negozio di alimentari.

 

Oltre a tempo e denaro, ogni risparmio alimentare porta con sé anche una riduzione degli sprechi di imballaggi, quelli che con ogni probabilità contenevano gli alimenti buttati.

 

L’ostacolo più difficile da superare è la comune resistenza al cambiamento, che tutti noi abbiamo: la tavola rappresenta la socializzazione, la cultura familiare e del territorio. Ma il cambiamento può portare a un miglioramento.

 

Sicuramente la fatica maggiore la fanno le persone molto impegnate, chi lavora molto. A volte manca il tempo anche solo per arrivare ad apparecchiare e portare il cibo in tavola, e allora facilmente quel cibo è fast food o cibo già di terza o quarta gamma (altamente trasformato). Il fenomeno è molto cittadino, ma ad esempio nel nostro territorio le porzioni spesso sono molto abbondanti difficili da esaurire. Abbiamo bisogno dunque di una società più equilibrata in cui le persone abbiano il tempo di prendersi cura delle proprie famiglie. La sostenibilità sociale è alla base della lotta allo spreco alimentare. 

 

Cibo e ambiente sono indissolubilmente legati. Se ami l’uno non puoi non amare l’altro.

 

Possiamo fare tanto per rigenerare la nostra terra, smantellando il nostro sistema alimentare industriale e sostituendolo con un sistema decentralizzato fatto di molti produttori locali al posto del monopolio moderno fatto da una manciata di corporazioni che controllano quasi tutto ciò che trovi in ​​un supermercato.

 

Lo spreco alimentare è un problema grave ed enorme. Secondo il Food Waste Index delle Nazioni Unite, in tutto il mondo, circa un terzo del cibo che produciamo e cuciniamo non viene consumato e le famiglie hanno un grande ruolo in questo crimine verso il cibo.

 

Quindi questo è un ottimo punto di partenza: cominciamo a consumare tutto ciò che abbiamo preparato, cucinato e messo a tavola. Questo impegno avrà un effetto immediato di risparmio, e ci aiuterà a diventare più creativi, scoprendo ricette, reimpiattamenti, riciclo di pietanze che sicuramente ci renderà cuochi migliori sotto tutti i punti di vista.
Suggeriamo un libro dal titolo spiritoso, anche se concreto nei contenuti, per praticare un buon “riciclo” in cucina.

 

 

27 Gennaio 2022 0 comment
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Ambiente

PARCHI, RISERVE E RETE NATURA 2000: QUALI LE FORME PIÙ EFFICACI DI PROTEZIONE DELLA NATURA?

by Amministratore 6 Maggio 2020
Campo Felice Zona di Protezione Speciale e Sito d’Importanza Comunitaria tutelato dall’Unione Europea
La priorità delle aree protette è la conservazione dei valori ecologici, la chiave per raggiungere simultaneamente anche tutti gli altri obiettivi è proprio quella immaginata da Parpagliolo e Sarti già nel 1918 e rilanciata da Pirotta nel 1955 (PEDROTTI, 1998), cioè la divisione in zone a tutela variabile di tutto il territorio protetto, una zonazione, cioè, da definirsi su basi scientifiche attraverso i piani dei parchi. Così la legge (art. 12) prevede la ripartizione del territorio in quattro zone, con diverso grado di tutela e diverse attività consentite: se nella zona A di “riserva integrale” non può essere consentita alcuna attività umana, nella zona B di “riserva generale orientata” possono essere consentite (dietro “nulla osta” dell’Ente parco) “le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell’ente parco stesso”; le ”aree di protezione” (zona C) sono invece dedicate alle attività tradizionali agro-silvo-pastorali, che “possono continuare, secondo metodi di agricoltura biologica ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità”; infine, nelle aree più antropizzate, le cosiddette “aree di promozione economica e sociale” (zona D) “sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori”. 
Sono aree protette, secondo la legge, i parchi nazionali e quelli regionali, le riserve statali e quelle regionali. 
Oggi, in Italia, vi sono 24 parchi nazionali istituiti, che coprono complessivamente oltre un milione e mezzo di ettari, pari al 5% circa del territorio nazionale. Le aree protette regionali (ormai oltre 1.000) coprono infine una superficie di più di un milione di ettari. Insieme alle 143 riserve naturali statali, si arriva così ad una superficie formalmente protetta di quasi tre milioni di ettari, pari al 10% circa del territorio nazionale, raggiungendo così finalmente l’obiettivo (“La sfida del 10%”) che era stato lanciato nel 1980 a Camerino dai migliori ecologi e conservazionisti dell’epoca. 
Dopo quasi settant’anni dall’istituzione dei primi parchi nazionali e a venti da quella dei primi parchi regionali, l’Italia si è finalmente dotata di una legge organica “per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese” (legge-quadro n. 394/1991). Come è sostenuto da autorevole dottrina, “la novità storica di questa legge è nel superamento della concezione antropocentrica del diritto; per una volta, non è più l’uomo l’oggetto finale del diritto, ma la natura; ciò che è di tutti, e dunque di nessuno, è definitivamente sottratto allo sfruttamento e all’egoismo individualista della produzione economica” (DI PLINIO & FIMIANI, 1997). Su questa scia, il Consiglio di Stato (Sez. VI), nella storica e modernissima sentenza n. 7472/2004, ha affermato che “la protezione della natura mediante il parco è la forma più alta ed efficace tra i vari possibili modelli di tutela dell’ambiente, il cui peggior nemico è senza dubbio la produzione economica moderna” e che, poiché la ragion d’essere di un’area protetta è la “protezione integrale del territorio e dell’ecosistema”, “l’esigenza di tutelare l’interesse naturalistico è da intendersi preminente su qualsiasi altro indirizzo di politica economica o ambientale di diverso tipo”. Nella stessa sentenza, il Consiglio di Stato ha anche attaccato frontalmente il concetto di “sviluppo sostenibile” quando applicato all’utilizzazione economica delle aree protette, proponendo di ribaltare completamente la prospettiva e parlare invece di “protezione sostenibile”, che ne è l’esatto contrario, consistendo invece “nei vantaggi economici ed ecologici diretti ed indiretti che la protezione in sé, considerata come valore assoluto e primario, procura” (DI PLINIO, 2008). Lo stesso autore si spinge ancora oltre, affermando addirittura che “la legge-quadro, all’art. 1, dichiara direttamente patrimonio naturale, cioè bene giuridico gli oggetti della natura e ne dichiara l’appartenenza al paese. 
Conseguentemente le aree protette sarebbero beni di proprietà collettiva, in cui l’appropriazione privata è ammessa solo in forma eccezionale, condizionata e subordinata”. Infatti, secondo l’art. 1, comma 3, della legge, le aree protette, il cui territorio è “sottoposto 
ad uno speciale regime di tutela e di gestione”, sono istituite innanzitutto con lo scopo di preservarne i valori ecologici e paesaggistici. La legge enumera però anche altre finalità, risolvendo così con un felice compromesso l’annosa disputa tra i fautori delle aree protette come “santuari della natura” e quelli che insistevano soprattutto sullo sviluppo economico delle stesse aree: tra gli obiettivi delle aree protette sono infatti anche (a) la conservazione dei valori ecologici e paesaggistici (“conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici e di equilibri ecologici”); (b) l’applicazione dei principi della gestione sostenibile che armonizzino l’ambiente naturale e le attività umane (“metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali”); (c) la “promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili”; ed infine (d) la “difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici”. 
La Rete Natura 2000 per la protezione della flora, della fauna, degli habitat e delle loro interazioni

La Direttiva 92/43/CEE Habitat segna una svolta fondamentale, in chiave ecologica, della politica europea di conservazione della natura: si passa dalla tutela delle singole specie a quella dei sistemi ecologici (habitat = ecosistemi), considerando le relazioni ecologiche necessarie al loro mantenimento a lungo termine. L’entrata in vigore della Direttiva dell’Unione Europea “Uccelli” (79/409/CEE) e soprattutto di quella “Habitat” nel 1992 fa così compiere un deciso salto concettuale anche alle normative nazionali del settore, istituendo in modo rigoroso e chiaro una rete di aree protette ad un livello sovranazionale (la Rete Natura 2000), in grado di proteggere efficacemente tutte le specie animali e vegetali rare e minacciate su scala continentale, anche attraverso la protezione dei loro habitat, riconoscendo che un’efficace conservazione delle specie può essere ottenuta solo attraverso la conservazione delle interazioni tra di esse, cioè tutelando i loro habitat naturali. 

Panoramica di Campo Felice

 

La tutela penale di habitat e specie di interesse dell’Unione Europea 
L’imponente corpo normativo di derivazione europea è presidiato da altrettante norme di carattere generale (D.lgs. n. 42/2004 art. 181, opere eseguite in assenza di autorizzazione, c.p. art. 635, danneggiamento, c.p. art. 650, inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, e c.p. art. 734, distruzione o deturpamento di bellezze naturali), da quelle sulle aree protette (L. n. 394/1991 art. 13 e 30, interventi non autorizzati in aree protette) e da nuove fattispecie di reato, introdotte nel codice penale dal D.lgs. n. 121/2011 (approvato in recepimento della Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente), che puniscono severamente ogni azione in danno agli habitat o alle specie protette. L’art. 733-bis c.p. vieta “la distruzione o il deterioramento (compromettendone lo stato di conservazione) di un habitat all’interno di un sito protetto”, mentre l’art. 727-bis c.p. vieta “l’uccisione, la cattura o la detenzione di esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta, nonché il prelievo o la detenzione di esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta”. 
Per “sito protetto” s’intendono le aree classificate come SIC o ZPS in base alla presenza di habitat e specie di interesse comunitario, mentre per “specie selvatica protetta” s’intendono quelle indicate nell’allegato IV della Direttiva 92/43/CE “Habitat” e nell’allegato I della Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”, ovunque si trovino (quindi anche al di fuori del territorio protetto da SIC o ZPS). 
Secondo la Corte costituzionale, la tutela del paesaggio (che è uno dei principi fondamentali dell’ordinamento) va intesa nel senso lato della tutela ecologica e della conservazione dell’ambiente, che è un bene giuridico di valore primario e assoluto. Nel 2007, la Corte ha definito l’ambiente come valore costituzionalmente protetto, che ha come oggetto di tutela la biosfera, non solo nelle sue varie componenti, ma anche nelle interazioni fra quest’ultime, i loro equilibri, la loro qualità e la circolazione dei loro elementi: una definizione scientificamente ben fondata sui principi cardine dell’ecologia. Dopo quasi settant’anni dall’istituzione dei primi parchi nazionali e a venti da quella dei primi parchi regionali, l’Italia si è dotata finalmente, nel 1991, di una legge organica per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, la legge-quadro n. 394/1991. Secondo la legge, le aree protette sono istituite innanzitutto con lo scopo di preservarne i valori ecologici e paesaggistici, ma anche per altre finalità di tipo socio-economico, risolvendo così con un felice compromesso l’annosa disputa tra i fautori delle aree protette come “santuari della natura” e quelli che insistevano soprattutto sullo sviluppo economico delle stesse. 
Estratto dallo studio di Bruno Petriccione 
Associazione Appennino Ecosistema – L’Aquila
Si ringrazia l’autore per l’autorizzazione alla pubblicazione
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Ambiente

PARCO DELLA MAIELLA, DA SABATO ISPETTORI IN VISITA PER LA CANDIDATURA A GEOPARCO UNESCO

by Amministratore 19 Luglio 2019

Sabato alla badia morronese, sede del parco della Maiella, i valutatori scelti dal consiglio dell’Unesco global geoparks saranno accolti dai vertici dell’ente che ospiteranno in questi giorni i tecnici chiamati alla verifica della candidatura del Parco Maiella nella Rete mondiale dei geoparchi dell’organizzazione delle nazioni unite per l’educazione, la scienza e la Cultura.

Eremo Foto Maria Trozzi
Foto Maria Trozzi
Impegnativo il programma dei tecnici che visiteranno l’area protetta dal 20 al 24 luglio per accertare la valenza, soprattutto geologica, dell’area protetta e anche molti altri aspetti determinanti per decidere sulla candidatura del parco nazionale abruzzese a Geoparco Unesco. Una proposta che è stata avanzata dal Parco Maiella a novembre scorso e l’iter va avanti con attenzione e cura.
Il 20 luglio alle ore 16 all’abbazia di Santo Spirito al Morrone, sala Ciampa, non mancherà occasione per dimostrare le grandi potenzialità di un territorio che di fatto è il polmone verde tra i mar Tirreno e l’Adriatico. A testimoniare la volontà delle comunità che lo abitano saranno tanti amministratori locali pronti a far crescere queste piccole realtà montane in termini di sviluppo sostenibile per un’offerta turistica salutare e rispettosa dell’Ambiente che arricchirà di nuove opportunità e darà un futuro alle aree interne d’Abruzzo.
I valutatori cominceranno le loro visite partendo da Caramanico Terme (Pe), il 21 luglio visiteranno anche diversi siti archeologici, tra cui le capanne in pietra a secco di valle Giumentina e il riparo intitolato ad Ermanno de Pompeis, tappa al vallone di San Bartolomeo con l’eremo, (geosito) e, ristorati e riposati, gli ispettori raggiungeranno Bolognano (Pe) con sosta panoramica nella valle dell’Orfento di Decontra, poi a valle dell’Orta con visita alla Grotta scura dei briganti e partenza per Sant’Eufemia a Maiella (Pe) per una interessante visita al giardino botanico e poi al caratteristico borgo di Roccacaramanico, frazione di Sant’Eufemia, abitato da 2 sole persone. Il giorno dopo Fara San Martino, Guardiagrele, Pennapiedimonte, Lama dei Peligni, Palena sono solo alcune delle tappe per i valutatori che avranno tanto da conoscere sulla montagna madre e i suoi abitanti.
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Ambiente

CALENDARI VENATORI IN FORMAZIONE

by Amministratore 4 Luglio 2019
L’appello delle Associazioni: Rispettate la legge, la Fauna non è passatempo dei cacciatori

 

La fauna è di tutti e non può essere gestita come passatempo dei cacciatori è questa una premessa indispensabile, da considerare se sono in discussione i calendari venatori regionali 2019/20 nelle regioni italiane e il Wwf, insieme alle associazioni Enpa, Lac, Lav e Lipu, fa appello ai presidenti di regione, agli assessori regionali e ministri con delega alla caccia per chiedere la corretta applicazione della legge quadro sulla tutela della fauna omeoterma e sul prelievo venatorio (Legge n. 157/1992).
“Sembra incredibile dover scrivere a dei rappresentanti istituzionali per chiedere il rispetto della legge, ma lo dobbiamo fare – dichiara Dante Caserta, vicepresidente del Wwf Italia – Nella passata stagione buona parte delle Regioni ha continuato a violare in maniera sistematica le leggi italiane e i principi europei e internazionali riguardanti la tutela della fauna selvatica e l’attività venatoria – aggiunge Caserta – Come Wwf, spesso insieme ad altre associazioni, siamo stati costretti a ricorrere ai tribunali amministrativi (Tar) impugnando 12 diversi provvedimenti regionali sulla caccia, riportando ben 10 vittorie”.
Tra le principali richieste delle associazioni ambientaliste sono la chiusura della stagione venatoria a tutte le specie di uccelli al 31 dicembre, secondo il principio di garanzia della completa protezione delle specie. In subordine, chiusura dopo questa data solo per le specie che non sono in pericolo e su cui ci sono informazioni sufficienti e accertate, e comunque mai oltre il 31 gennaio. Inoltre si chiede un rigido rispetto dei periodi di caccia per tutti i mammiferi, in particolare per le specie a rischio e ancora prive di adeguati piani di gestione e programmi conservazionistici per loro e per i relativi habitat, anche in attuazione dei Management plan eventualmente adottati dalla Commissione europea. Sono indispensabili l’apertura generale della stagione venatoria al 1° ottobre, evitando ogni forma di preapertura, la sottoposizione a Valutazione di Incidenza di tutti gli strumenti di gestione venatoria (piano faunistico-venatorio regionale, piani faunistico-venatori provinciali e calendari venatori), in mancanza della Vinca o in presenza di una Vinca con esisto negativo, esplicito divieto di caccia nei siti della Rete natura 2000 quali Zone di Protezione Speciale (Zps), Zone di Conservazione Speciale (Zcs) e siti d’importanza comunitaria (Sic); l’estensione delle misure di conservazione previste dalla normativa vigente per i siti natura 2000 agli habitat esterni, quali ad esempio le zone cuscinetto, la rigorosa applicazione del divieto di caccia nelle aree percorse dal fuoco come previsto dalla normativa vigente. Il divieto di utilizzare munizioni da caccia contenenti piombo (sicuramente nelle zone umide, ma il pericolo di inquinamento per l’ambiente e anche per l’uomo vale dappertutto).
Per l’Abruzzo si aggiunge la richiesta di rendere effettiva la presenza dell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, istituita con decreto di giunta regionale 480 del 5/7/2018; nelle aree contigue, in base alla normativa nazionale di riferimento, la legge 394/91, sono ammessi solo i cacciatori residenti e il calendario venatorio in via di definizione non può trovare scappatoie a questa norma, citando l’area contigua, ma di fatto continuando a non far valere le norme che essa prevede. “Il nostro appello è ancora più forte per l’Abruzzo – dichiara Luciano Di Tizio, delegato del Wwf Abruzzo – Anche quest’anno andiamo incontro ad una stagione venatoria senza Piano faunistico-venatorio regionale, visto che l’ultimo approvato è ormai scaduto e in proroga dal 2007. Il nuovo Piano, predisposto dalla passata maggioranza, è ancora in discussione e quindi per l’ennesima volta si autorizzerà la caccia senza avere un quadro della situazione. Ricordiamo che negli ultimi anni il Wwf ha praticamente impugnato il calendario venatorio della Regione Abruzzo ogni anno. Siamo stati costretti perché la volontà dei nostri amministratori, di qualsiasi colore politico, è stata sempre quella di accontentare la lobby dei cacciatori, fortunatamente sempre in diminuzione, e non quella di amministrare un bene che appartiene a tutti. Speriamo che su questo la Giunta Marsilio voglia dare un segnale di discontinuità”.
https://report-age.com/2019/07/03/calendari-venatori-in-formazione-associazioni-rispettate-la-legge-la-fauna-non-e-passatempo-dei-cacciatori/
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Ambiente

Thirty years of ecological research at the Gran Sasso d’Italia LTER site: climate change in action

by Amministratore 9 Maggio 2019

 

Bruno Petriccione1 , Alessandro Bricca2 

 

1) Carabinieri, Biodiversity and Park Protection Dpt. (Castel di Sangro Biodiversity Unit), via Sangro 45, Castel di Sangro (AQ), Italy. 2) University of Roma Tre, Science Dpt., V.le Marconi 446, Roma, Italy
Since 1986, vegetation monitoring of alpine plant communities has been performed at the Gran Sasso d’Italia LTER site (https://deims.org/c0738b00-854c-418f-8d4f-69b03486e9fd) in the Central Apennines, through phytosociological relevés and abundance and coverage estimation of the vascular flora at fine scale. The monitoring activities for abiotic parameters regard air and soil temperatures, rainfall, snowfall and snow cover persistence. A comparative analysis of changes in species composition, life forms, life strategies and morpho-functional types allowed recognition of dynamical processes (fluctuation and degeneration) and an increase in stress- and drought-tolerant and ruderal species, probably linked to a general process of climate change. A trend of variation forced by increasing drought was recorded in high-mountain plant communities, normally within a dynamic fluctuation process. There has been a 50–80% change in species composition with respect to the total number of species observed over the years. Whereas the total number of species has increased in all communities, in high-mountain mesic grassland 20% of sensitive species have completely disappeared. Early signs of a degeneration process were already discernible after seven years: such signs are more evident in snow-dependent communities, with a quantitative increase in more thermophilic and drought-tolerant species and a parallel decrease in more mesic, cryophilic and competitive species. In particular, the following phenomena have been recorded in high-mountain mesic grassland, in agreement with predicted or observed phenomena in other Alpine or Arctic areas: (a) coverage increase (or appearance) of ruderal and stress- and drought-tolerant species; (b) coverage decrease (or disappearance) of cryophilic, mesic and competitive species.
Study area The LTER site EU IT 01-003-T “Appennino Centrale: Gran Sasso d’Italia”, established in 1985, covers an area of ca. 0.5 km2 , with an elevation range from 2130 to 2385 m a.s.l. (approx. latitude 42°26N and longitude 13°33E, Suppl. material 1, Figure S1). The Gran Sasso d’Italia massif is located in the Central Apennines, which reach their highest elevation with the Gran Sasso peak (2914 m a.s.l.). The research site, one of the highest in Italy, has been a protected area both at National (as a National Park) and European level (as part of the EU Natura 2000 Network) since 1995. Land use in the site has remained unchanged over the last 50–100 years (personal observations, Falcucci et al. 2007): the only relevant activities are based on winter sports (a small ski resort is located at the southern boundary of the site), mountaineering and, more recently, nature tourism, all with very low impact on plant communities. In the past, land use was based on transhumant sheep farming, in progressive and rapid abandonment after the major political and economic change affecting Italy at the end of the 19th century (Clementi 1995). As a result, land management has not changed significantly, at least not since 1986, the year of ecological research at the site began. The climate is Mediterranean-mountain (Pignatti 1969, Petriccione 2005), with an average annual temperature of 3.7 °C, average annual precipitation of 1170 mm, maximum rainfall in spring and autumn, no drought period in summer, but an extreme and prolonged frost period in winter, for 5–6 months, with prolonged snow cover for more than 6 months a year. The average monthly maximum temperature is not very high (17.4 °C), whereas the average monthly minimum temperature is very low (- 8.9 °C). Since 1986, the same ecologists (first from the Universities of Rome and L’Aquila, from 1999 the Corpo Forestale dello Stato (National Forest Service) and since 2017 the Biodiversity and Park Protection Department of the Carabinieri) have been continuously studying the state of the high elevation vegetation, analysing all the plant species present in permanent plots where surveys are carried out once a year. Since 2013, the microclimate has also been studied directly using automatic temperature measurement devices installed in the soil. The site consists of high elevation plant communities above the timberline, in the central Mediterranean basin, along the Apennine mountain range, included in the alpine and Mediterranean high-mountain altitudinal belts (Petriccione and Persia 1995). They belong to two habitat types protected by EU Habitat Directive no. 92/43/EEC and listed in its Annex I (attribution to EU habitat types according to Biondi et al. 2009 and personal observations). Two biocenoses are studied in detail, both described by Petriccione and Persia (1995) and characterized by perennial species, particularly well adapted to cold and drought conditions, with high resistance, but very low resilience: (a) high-mountain primary dry grassland (Pediculari elegantis-Seslerietum tenuifoliae, corresponding to habitat “6170 – Alpine and subalpine calcareous grasslands” ), with non-continuous plant coverage, occurring between 2000 and 2300 m a.s.l. in the Central and Southern Apennines, in wind-swept peak and ridge zones with spatially limited and temporally discontinuous snow-cover, below zero night temperatures for ca. eight months a year and intensive cryo-nival phenomena (ice needles) in all seasons (except for the summer); soil is shallow (ca. 20 cm) and pH is basic (7.20–7.50, Furrer and Furnari 1960, Suppl. material 1, Figure S2); (b) high-mountain primary mesic grassland (Luzulo italicae-Festucetum macratherae, corresponding to the priority habitat “6230* – Species-rich Nardus grasslands, on siliceous substrates in mountain areas and submountain areas in Continental Europe”), with continuous plant coverage, occurring between 2000 and 2400 m a.s.l. throughout the Central Apennines, in wind-free zones with snow-cover for ca. six months a year, below zero night temperatures for ca. eight months a year and the absence of crio-nival phenomena (due to the prolonged snow-cover); soil is deep (cm 35–55 ca.) and pH is acid (4.50–5.90, Furrer and Furnari 1960, Suppl. material 1, Figure S3). The two plant communities are sampled on the basis of six permanent plots (three plots for each community), each measuring 100 m2 , grouped in two three-plot clusters, representative of a larger area of ca. 0.5 km2 . The site parameters observed include primary producers (species frequency and abundance, yearly) and microclimate (soil temperature, hourly, throughout the year). Some information on the microclimate characteristics of the Pediculari-Seslerietum community are already available for that specific site, although only for one summer season (Brucculeri and Petriccione 1994): the maximum recorded temperature is 27.5 °C.
The warming trend at global level is confirmed and reinforced by data related to the LTER site “Gran Sasso d’Italia”: the mean annual temperature has increased by 1.7 °C over the last 65 years, corresponding to an average increase per decade of +0.26 °C. This is more than double the same values at global level (+0.7 °C in the last 60 years and +0.1 °C per decade, IPCC 2014), and very near the forecasted increase of +2.0° C by the year 2100 (IPCC 2014). This exceptional warming in alpine areas, together with a decrease in total precipitation (as recognized for the Central Apennines as a whole, even if not significant at the site) and snowfall (significant at the site), an increase in climate inter-annual variability and extreme events, and a frequent lack of snow cover, are the combined drivers of the intense species turnover observed, occurring over the last 30 years in all the biocenoses studied, although more marked in snow-dependent communities. A quantitative increase in more thermophilic and stress- and drought-tolerant species and a parallel decrease in more mesic, cold adapted and competitive species have been clearly detected. These results confirm the preliminary assumptions provided in Petriccione (2012) for the first 18–25 years of observation at the same LTER site. Ecological indicators demonstrate that the key factor in the ecological changes of the alpine biocenoses studied is drought, associated with the combined action of temperature increase, precipitation decrease and lack of snow cover and precipitation. The two communities studied react in different ways to these abiotic drivers: (1) the Pediculari-Seslerietum dry grassland, highly resistant and well adapted to drought, frost and drastic temperature ranges, shows very slow or no changes over time (in accordance with the results of Frate et al. 2018); (2) the Luzulo-Festucetum mesic grass- 32 Bruno Petriccione & Alessandro Bricca / Nature Conservation 34: 9–39 (2019) land, with low resistance (increase in species richness and invaders) and not adapted to drought and soil frost, shows important and rapid changes, increasing cover values for species with ruderal and stress-tolerant strategies, and a parallel decline in the former dominant species, towards first signs of drought stress. The fluctuation stage typical of these primary alpine plant communities seems to be changing toward a dynamical tendency of degeneration, with an important disgregation of the community due to deterioration of the ecological connections: as in the Central Alps, this process can lead to an ecological vacuum or a disequilibrium state in the biocenoses (Cannone and Pignatti 2014). In conclusion, our results enable us to answer the four questions listed in the introduction: a) plant communities are significantly changing over time, more for mesic grassland and less for dry grassland; b) toward a disequilibrium state; c) species are responding in different ways, altering the intra-community ecological connections; d) there is a relationship between the changes in the features of the communities and the predicted and the observed changes in the temperature and precipitation regimes. Additional long-term observations over the next decades are, in any case, required to confirm the hypothesis of a cause-effect relationship between climate change and changes in plant communities and to exclude natural and unknown fluctuations. The combined monitoring of vegetation (composition and structure) and temperature at high elevation will provide updated data on the processes currently underway on the high summits of the Apennines and will guide the local in-situ policies to conserve the associated plant communities and threatened species.

 

Citation: Petriccione B, Bricca A (2018) Thirty years of ecological research at the Gran Sasso d’Italia LTER site: climate change in action. In: Mazzocchi MG, Capotondi L, Freppaz M, Lugliè A, Campanaro A (Eds) Italian Long-Term Ecological Research for understanding ecosystem diversity and functioning. Case studies from aquatic, terrestrial and transitional domains. Nature Conservation 34: 9–39. https://doi.org/10.3897/natureconservation.34.30218
 
Si ringraziano gli autori per aver potuto pubblicare questo estratto del loro studio.
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