STORIE DI DONNA: GIOVANNINA SOLDATI DI PROFESSIONE CARBONAIO

by Amministratore
Dalle pagine di questo blog cerchiamo di narrare delle “storie” che ci parlino di Lucoli e della sua gente.

Con pazienza certosina, intervistiamo gli anziani, raccogliamo vecchi libri, interpelliamo il web e costruiamo relazioni e collaborazioni con storici e cattedratici che possano supportarci. Molti dei nostri articoli sono il frutto di ricerche storico contemporanee, verifiche delle fonti, supporti acquisiti ed autorizzazioni concesse. La nostra ambizione è quella di valorizzare la storia recente di Lucoli: una storia da tramandare e tutelare, che possa contribuire a mantenere vivo questo piccolo paese. Ci impegniamo sul “bene comune” inteso come “bene culturale” in quanto espressione di civiltà della Comunità locale. In molti sanno che i confini dell’”interesse culturale” sono stati allargati, fino ad includere nel campo della tutela sia i beni materiali che i beni immateriali, considerando beni da tutelare tutto ciò che è ascrivibile alla sapiente opera dell’uomo, in quanto espressione di cultura e quindi oggetto di tutela. Ogni elemento che esprima un valore di civiltà può essere annoverato fra quello che a pieno titolo viene considerato bene culturale sia che sia un bene tangibile o intangibile. Diffondiamo le “storie” che troviamo utilizzando lo strumento di questo “BLOG” pensando prioritariamente ai giovani, affinché i ragazzi possano scoprire, in modo semplice e veloce, ciò che è accaduto nel passato recente di questo territorio. Siamo convinti che la conoscenza delle radici sia utile per migliorare il futuro.

La nostra curiosità si allerta soprattutto su temi inesplorati o scarsamente trattati da altre autorevoli fonti lucolane che, comunque, molto ci hanno trasmesso in termini di ricerca e studi prodotti. E’ per questo che abbiamo avviato un filone di narrazione nel campo delle figure femminili che sono vissute a Lucoli e delle quali si può tramandare memoria costruttiva.
Con questo articolo vi vogliamo parlare di una donna che lavorò come carbonaio: Giovannina Soldati nata a Lucoli  il 14/05/1920 da Pietro e Falasca Antonina e coniugata con Antonelli Antonio.   Giovannina è scomparsa da tempo, ma rimane un suo racconto affidato ad un’intervista contenuta nello studio “Migrazioni” realizzato da Roberto Soldati. (http://www.3dmaker.it/pubblicazioni/MIGRAZIONI.pdf)
Mestiere insolito il suo, svolto al seguito del padre e dei fratelli.  Giovannina tra il 1938 e il 1940 nel corso dei lavori della Bonifica Pontina, lavorava nelle carbonaie dove venivano utilizzate le enormi quantità di legname provenienti dai disboscamenti che dovevano fare spazio alle nascenti città dell’Agro Pontino. Giovannina seguiva la famiglia per lavorare alla produzione di carbone nel terreno di bonifica. Vissero per mesi in una casetta in muratura, cosa di un certo privilegio rispetto alla solita capanna di fogliame alla quale erano abituati, ma il privilegio in realtà non c’era visto che l’area era infestata dalle pulci. Ma qual’era il lavoro di Giovannina? Lavorava senza pietà nè compassione: toglieva il carbone, controllava la fornace e portava acqua perchè il carbone non bruciasse completamente, poi prendeva il rastrello e tirava via quello più bello, ma prendeva anche la carbonella che rimaneva mischiata con la terra. Poi cucinava per i suoi, lavava, portava legna e il carbone nei sacchi. Nell’Agro Pontino era l’unica donna, in un posto, pieno di gente estranea e, in una sua intervista riferì che spesso piangeva. Le uniche donne le aveva viste alla stazione all’arrivo e le rivide, dopo sei mesi di duro lavoro, nel momento della partenza.  Rimaneva molto da sola. I parenti uomini andavano a fare carbone lontano anche due o tre chilometri dalla casetta dove rimaneva per cucinare, restava sola, con continuo passaggio dei cacciatori, degli altri taglialegna e boscaioli del suo stesso gruppo. Giovannina era bella non deve essere stata un’esperienza facile, ma l’etica della donna era quella del sacrificio alimentata dalla povertà e dalla cultura patriarcale.  I sacrifici si facevano perché non si poteva fare altrimenti, non perché si scegliesse di farli in nome di un superiore ideale morale. Il sacrificio consentiva il risparmio attento e pertinace, utile ad assicurare il mantenimento della propria famiglia, necessario per sopravvivere alla condizione di precarietà materiale e per prefigurare un possibile cambiamento. Una donna, non maritata, era comunque al servizio del capo famiglia.
Tratto dal sito: http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-LOM60-0004173/

Carbone di legna: la sua lavorazione è stata attiva fino agli anni ’50
Carbonaia – ricostruzione storica custodita nel museo di Piana delle Orme 

Sacchi di carbone di legna – ricostruzione storica custodita nel museo di Piana delle Orme 

Nel passato i carbonai svolgevano un’attività complementare a quella del taglio della foresta. In genere le compagnie erano formate da tre o quattro persone, spesso familiari e, in molti casi, con la presenza della moglie, in questo caso della figlia, del capo compagnia. Una comodità? No, forse l’esigenza di avere due braccia in più, infatti le donne lavoravano quanto gli uomini. Dopo aver lavorato in alcune carbonaie, gli operatori, uomini e donne, diventavano del colore dello stesso carbone e arrivavano al punto che in loro si distinguevano solo i denti e il luccicare degli occhi. Ogni giorno si lavavano le mani, ma solo per la polvere, con l’acqua che portavano dalla sorgente o dal fiume, non avendola corrente. La domenica o qualche giorno particolare in cui non erano molto impegnati, cercavano di fare una pulizia più accurata, ma sempre molto limitata, dal momento che la polvere di carbone penetrava nei pori della pelle e non se ne andava nonostante le forti abluzioni. Le loro mani in particolare erano nere e cotte dal carbone.  Il mestiere del carbonaio è il termometro più adatto per misurare l’evoluzione avvenuta nel Centro-Sud, e il progresso economico di tutto il Paese. Il carbonaio con il suo destino di categoria. Destino ormai segnato dalla forza delle cose nuove venute fuori dopo l’ultima guerra. Fino a pochi anni fa il carbone di legna veniva usato largamente dai borghesi, piccoli e grossi, e per la cucina e per il riscaldamento delle case. Se ne consumava abbondantemente nei piccoli e grossi centri, particolarmente nei paesi di marina lontani dai boschi e quindi privi di legna, e nelle grandi città zeppe di impiegati. Se ne faceva uso d’estate e d’inverno ed era necessario come il pane. Da quando si è diffuso l’uso del gas, di carbone non si fa più uso per la cucina, nemmeno nei paesi di montagna. I motivi sono diversi e plausibili: igiene, comodità, economia. Inoltre, l’intensità boschiva è diminuita sempre di più; e poi, i giovani, già dallo scorso secolo, più inquieti e più esigenti dei padri, hanno cambiato mestiere, sono emigrati in paesi dove la vita era da uomini civili e assai diversa da quella del carbonaio. 

Operazioni di bonifica dell’Agro Pontino e carbonaia – Foto storica custodita nel museo di Piana delle Orme 

Nella visione popolare il carbonaio, è un uomo che distrugge, che dietro di sé lascia un senso di morte e una terra senza padrone. Dopo il taglio, rimane la terra nuda, che sarà lavata dalle acque, spazzata dai venti, arroventata dal sole: terra bruciata che rende tragico un paesaggio. Terra del vento, terra bruciata. E a bruciarla, secondo l’opinione popolare, sono spesso i carbonai, uomini del fuoco, che dietro di loro lasciano sempre piazza pulita, che sempre sono poco vestiti e affamati, come nuda lasciano la terra; che sempre sono sporchi e poveri: senza casa, senza un pezzetto di terra, sempre in cerca di pane, di un bicchiere di vino, sempre con le viscere arse e la gola secca; sempre pronti a saltare in una vigna e a rubarvi dell’uva; a strappare delle lattughe e dei frutti. Come se il fuoco, quello stesso fuoco con cui consumano i boschi, arda dentro le loro budella e dia un eterno bisogno di dissetarsi. In molte regioni d’Italia il carbonaio era tenuto a distanza dagli altri, anche dai braccianti che vivevano meglio di lui. Quasi che si portasse dietro una misteriosa maledizione. Un po’ come quella degli zingari, destinati a errare per il mondo senza casa e senza patria. Così i carbonai: condannati a correre da un bosco all’altro, da una provincia all’altra e tante volte da una regione all’altra. 




LUCOLI: Giovannina Soldati con Beniamino Properzi di Collimento – foto proveniente dall’archivio del Consorzio di bonifica dell’Agro Pontino
LUCOLI: Una foto di Giovannina negli anni ’80 (la prima da sinistra)


Si ringrazia la Direzione del Museo di Piana delle Orme di Latina per averci consentito di reperire materiale fotografico per questo articolo. Si raccomanda la visita di questo Museo Storico ricco di testimonianze ed ambientazioni realizzate con oggetti di vita quotidiana del passato.

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