Coltivare memorie: la Storia dopo il terremoto di Silvia Mantini

by Amministratore

Individui, comunità e istituzioni in emergenza


“Il sisma del 2009 ha imposto all’Aquila, e alle sue generazioni, una sparizione improvvisa della vita e delle tracce del suo centro storico, fulcro, sin dalle origini della città, della convivenza, della concentrazione delle attività economiche, della sociabilità. Per questo è diventato essenziale, nel processo educativo condotto all’indomani dell’evento, nelle scuole e fuori dalle scuole, sin dall’infanzia, cercare di trasmettere ai bambini, nati dopo il 2009, la storia di qualcosa che non hanno mai visto, ma che rappresenta la scenografia del mondo in cui vivono e di cui ascoltano la storia narrata dai loro nonni e dai loro genitori. Trasmettere, poi, il sapere storico agli adolescenti, che hanno un ricordo vago del loro prima e del loro dopo il 6 aprile, diventa fondante al fine di consolidare la consapevolezza di una identità che non deve essere sbiadita, ma che concorre a rappresentare il raccordo tra un passato, da rivivere nelle attuali ricostruzioni di tracce architettoniche e urbanistiche, e un presente. Molti giovani hanno, in questi anni post-sisma, reinventato un loro luogo e sono convissuti, in nuove percezioni, con la loro città “puntellata”, nella quale hanno immaginato normalità originali, come fare parkour sulle rampe dei cantieri, o scrivere brani con protagoniste le gru, diventate oggetto dei loro racconti e documentari d’amore. Coltivare la memoria è poi l’impegno dei giovani che dovranno scegliere il loro futuro di permanenza o di emigrazione. 
La nostalgia del futuro: è possibile convivere con il terremoto? Avevano 9 o 10 anni o 13 la volta dello scorso terremoto, il 6 aprile 2009 all’Aquila. Hanno capito quel che stava avvenendo e hanno perso l’adolescenza “normale”, quella delle abitudini: la cameretta, la squadra, la danza, la casa della nonna, la scuola. Piccoli cittadini italiani diventati diversamente adolescenti, separati dai loro tanti giochi per i quali non c’era più spazio, tra tende, traslochi, progetti-case, scuole-musp, parrocchia-map. Con gli altri aquilani, e non solo, hanno dimostrato tanta forza e resilienza, sapendosi reinventare nuovi destini, con i magoni e la nostalgia del futuro, apparso sempre più impossibile. Poi sono arrivati per tutti, o quasi, luoghi nuovi, a volte apparentemente più belli, che hanno preso il posto delle precedenti abitazioni. Ragazze e ragazzi hanno inventato la loro città mezza rotta. Hanno tirato un sospiro, guardato il Gran Sasso e pensato che dovevano andare avanti, ma che non dovesse mai succedere ad altri. Poi, in una notte d’estate, durante la Perdonanza di Celestino V e con una città in festa, piena di giovani, musiche straordinarie e sapori di possibile, si sono messi a letto ed è tornato il mostro con tre minuti di ritardo, alla stessa ora di sette anni prima, non alle 3,32, ma alle 3,36. Loro, 17 anni oggi, o 19 o 21, i “piccoli” di allora che sono stati gli ultimi a ricordare L’Aquila “di prima”, sono saltati terrorizzati. Hanno tirato i genitori in strada, per uscire fuori e non cascarci più nella storia che è normale così e tutto è sicuro. Hanno seguito sui social tutte le notizie in diretta, hanno pianto, hanno visto montagne di smarrimenti e dolori noti: poi hanno passato il loro pomeriggio aquilano, colpito da un pugno nello stomaco, a fare scatoloni per Amatrice, togliendo dall’armadio tutti gli abiti più cari, quelli conservati anche di nascosto. Ne è nato un filo di partecipazione commovente che porta direttamente tra altri terremoti, per smaltire la paura e immaginare giovani amici di esperienza comune, con un segno della loro Storia addosso. Le città dei terremoti non vivono con la paura di una damnatio memoriae che può essere procurata dall’uomo, come nelle guerre, ma con la paura di un ignoto in agguato. Le città dei terremoti risorgono come prima, senza essere le stesse, o più belle, ma in un tempo così lungo da perdere gli abitanti e avere gli acquirenti. Le comunità economiche, i tessuti sociali dilaniati da questi eventi meritano sicurezza. 
Convivere con il terremoto cambia la lettura del presente: per questo molti giovani vanno via dall’Aquila e dalle terre dei sismi, perché scappano dal peso di non voler affrontare questo presente pesante. 
E quindi come pensare le città post-sisma? Di acquirenti e non di abitanti? Il terremoto induce i singoli a contare il tempo avanti, a voler pensare a una normalità immediata, a contare quanto si è perso e si sta perdendo e a essere insofferenti all’attesa di qualcosa che verrà, che sarà più bello, come dicono i turisti e chi non vive nelle città colpite. Per difendere la possibilità di vivere nell’Italia dei terremoti non bisogna aspettare che il terremoto ci restituisca città antisismiche che perdono, tuttavia, i loro originari abitanti. 
Si può sperare in città sicure da subito, con interventi mirati e diffusi, in zone individuate come a rischio. Sono necessarie operazioni che insegnano alla cittadinanza ad avere un ruolo attivo nel recupero della propria identità di territorio sismico, per fugare rassegnazione e attesa, implementando una partecipazione diversa alle dinamiche della propria città e della sua storia. 
È un percorso lungo, che deve iniziare subito. Quale è il ruolo della Storia quando un centro storico resta congelato per circa un decennio? 
Certamente quello di restituire le memorie ai luoghi che, nel tempo, tornano ad essere vissuti”.
Questo interessante articolo dell’amica Silvia Mantini offre degli spunti agli Amministratori (futuri) di Lucoli, al corpo docente delle Scuole locali e a tutte le Associazioni del territorio che vogliano coinvolgersi nella “ricostruzione della memoria” per non perdere gli originari abitanti.
NoiXLucoli Onlus ha  “fissato” nel 2010 l’attimo post terremoto con i lavori degli alunni della scuola Pietro Marrelli, che avevano dai 5 agli 11 anni: i loro mosaici sono in un monumento all’interno del Giardino della Memoria del Sisma. 
La speranza era ed è raffigurata in quelle immagini, i lavori realizzati artistici furono realizzati con i pezzi di vita andati in frantumi: tazze, piatti, materiali ceramici vari. 
Il sole che splende c’è in tutte le opere.
La costruzione del Giardino della Memoria del Sisma nel 2010 un gruppo di amici che hanno lavorato tanto
I bambini di Lucoli di allora sanno di aver “lasciato il loro segno” in quel luogo per poter tornare a ritrovarlo.
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Tratto da:

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