COLLE DI LUCOLI E LA MEMORIA DI PIETRO MARRELLI: “MUORE SOLO CHI NON LASCIA EREDITA’ DI VIRTU’, DI AFFETTI E DI AMMIRAZIONE”

by Amministratore
L’Aquila targa in memoria di Pietro Marrelli
Su gentile concessione del redattore del sito “www.Paganica.it” pubblichiamo cinque lettere inedite del lucolano Pietro Marrelli.

Gli eventi storici vissuti in prima persona da Pietro Marrelli, eroe, insieme ai tanti altri aquilani di quel momento – furono guidati dall’ideale democratico e repubblicano. Parliamo di uomini che furono capaci di mettere da parte affetti familiari, egoismi di casta o professionali, e talvolta gli stessi propri ideali politici, pur di spezzare le secolari catene della soggezione italiana allo straniero, o quelle verso il prepotente di turno che, laico o clericale, osasse ancora tenere diviso e sottomesso il popolo italiano.
Le lettere scritte da Marrelli che proponiamo sono palpitanti e colpiscono il lettore, anche dopo più di cento anni, le sue parole rappresentano una piccola testimonianza dei progetti, delle rinunzie e delle aspirazioni, dei dolori e delle gioie fugaci, dei timori e delle attese, delle disillusioni e delle speranze di questi uomini, i quali, giovani e meno giovani, vivevano in una comune, compatta solidarietà d’intenti e di affetti. Il suo pensiero, non dissimile da quello di tanti illustri italiani del tempo,  era comune a quello di tutti quei popoli che in tempi diversi, in luoghi diversi, in modi diversi, ma come in una perenne indissolubile catena che accresce il numero degli anelli percorrendo il mondo nel tempo, desiderano il riscatto della libertà e della democrazia, forse più difficili da gestire, ma che permette a tutti di esprimere un volere e una volontà, e di raccogliersi intorno ad una realtà comune. 
Quest’uomo nacque a Colle di Lucoli, in un tempo in cui la vita umana, culturale e produttiva era tangibile. La sua memoria, la memoria che vince la morte è affidata, in un paese con due soli abitanti, ad un busto commemorativo ed anche, forse, a questo nostro testo, formato blog (ci auguriamo che qualcuno, soprattutto tra i giovani lucolani, possa leggere anche la copiosa letteratura tematica che riproponiamo nella bibliografia). 
Marrelli che, memore forse del pensiero di Ugo Foscolo, nella lettera del 20 ottobre 1859, indirizzata proprio all’amico fraterno Angelo Pellegrini per partecipargli la morte del comune amico Francesco Sorace, scrisse: “Ma egli non è morto. Muore veramente soltanto colui che non lascia eredità di virtù, di affetti e di ammirazione [..] il suo nome passerà di generazione in generazione. Vive e vivrà nel cuore e nella memoria dei buoni e di tutti quelli che avranno un palpito per i generosi fatti e per le nobili aspirazioni ed imprese“. 
Con questo lavoro abbiamo voluto, nel 2012, anno confuso del post terremoto in Abruzzo ed a Lucoli, rivivificare per noi, oggi e, per i nostri figli e nipoti domani, nel rispetto di quella memoria che insegna ed educa, piccoli sprazzi del suo pensiero.  Dedichiamo in modo particolare questo lavoro di ricerca e trascrizione ai nostri soci Alfonso Mauro, Marcello, Domenico e Toni, che portano tutti il cognome Marrelli, forse discendenti da un capostipite che tanto ha fatto per l’Italia.

Le lettere di Marrelli che pubblichiamo furono scritte a Filippo De Filippis Delfico. 
Ritratto di Filippo De Filippis Delfico
Delfico nacque a Teramo il 23 marzo 1827, figlio del Conte di Longano, Gregorio De Filippis e di Marina Delfico; morirà a Montesilvano il 10 gennaio 1907. Già nel 1848 con il fratello Troiano, era stato uno degli animatori delle idee risorgimentali nel teramano. Riuscì a sfuggire all’arresto recandosi in Francia per rientrare in Abruzzo nel 1860. Filippo fu il principale referente di Pietro Marrelli per i preparativi e l’organizzazione del tentativo del 1867 di annettere Roma all’Italia.
Nelle lettere è citato Antonio Caretti, originario di Milano ed Aiutante Maggiore della Guardia Nazionale di Teramo. Fu ucciso nella battaglia di Mentana: il 3 novembre 1867. Federico Salomone, fu un colonnello garibaldino. Dopo il 1848 fu in esilio. Fu eletto deputato nei collegi di Napoli e di S. Demetrio ne’ Vestini nella IXa legislatura (1865-1867). Fu di nuovo eletto nel collegio di S. Demetrio ne Vestini e nel collegio di Cittaducale nella Xa legislatura (1867-1870) e XIIIa(1876-1880), morì il 12 aprile 1884, riposa nel cimitero dell’Aquila. 
Gli originali di queste lettere risultano ufficialmente smarriti.
Mio caro Filippo,
Antonio Caretti – il prode e generoso avanzo dei Mille – lo strenuo soldato delle patrie battaglie, con un pugno di giovani ardenti è già entrato nel territorio pontificio. I compagni suoi di costà lo seguono con pari coraggio ed abnegazione. Fra poco saranno sotto le mura di Roma, prossima ad insorgere, come sono già insorte Viterbo ed altri luoghi delle province Romane. Garibaldi, il prigioniero di Alessandria, ha sempre fatto appello alla coraggiosa e robusta gioventù abruzzese; e per verità chi più di noi deve sentire il dovere di aiutare i vicini fratelli di Roma? L’aspirazione nazionale di conquistare la propria Capitale; e di liberarla dal servaggio e dalla codarda ira, abbia compimento per opera degli Abruzzesi a preferenza di qualunque altro italiano. Questo fatto formerebbe una pagina di storia gloriosa ed imperitura pel nostro Abruzzo, il quale – nelle attuali emergenze – dovrebbe unire un fascio tutte le volontà e tutti i mezzi di cui può disporre.
Un fraterno saluto.
Aff.mo
Pietro Marrelli
Mio caro Filippo,
Senti Vitelli, Inviami subito tutti i fucili preparati da Troiano, ma subito. Raduno danari – Da Aquila partono giovani – tutti armati – circa 700. Tutto va bene Giordani e Forti sono partiti ieri sera con forte colonna. – Caretti sarà certo nel campo a Nereto. Dovrei dirti mille cose, ma manca il tempo; a Tutti codesti amici un abbraccio fraterno.
Addio, amami, credimi.
Aquila, 17 ottobre 1867
Tuo
P. Marrelli
Caro Delfico,
poche parole all’ultima tua. Roma è insorta. Garibaldi è in Rieti, ed oggi forse passerà per qui. Abbiamo bisogno di armi, munizioni, e di denari. Invece di spedire al comitato centrale di Firenze i denari, perché non si spediscono qui, ove arrivano tutti i giovani dell’Abruzzo?
Spedisci la cassa di cui mi parli.
Ti abbraccio di cuore.
Aquila, 24 ottobre 1867
Tuo
P. Marrelli
Mio caro Filippo,
eccoti il ricevo delle somme inviatemi pei signori Caretti, Giordano e Forti, e per i cinque individui già partiti. Il denaro è tutt’ora presso di me, e non ho creduto mandarlo alla ventura. Come saprò ove si trovano i suddetti Caretti, Giordano e Forti, sarà mia cura far loro tenere tutto.
Scriverò intanto a qualche amico, che abbisognando, loro dei mezzi pecuniari, li fornisse per conto mio.
Ti avverto in ultimo che i cinque individui da te spediti vennero quasi nudi e scalzi. Come ciò sia in contraddizione a quello tu dicevi, non saprei dirtelo.
Salutami Troiano e gli altri amici.
Ti abbraccio di cuore.
Aquila, 27 ottobre 1867
Tuo
Pietro
Aquila, 9 novembre 1867
Mio caro Delfico,
La perdita del Valoroso soldato, dell’intemerato cittadino, Antonio Caretti, è stata grave. L’Italia ha perduto uno dei suoi più strenui figli; Teramo un amico affettuoso e solerte milite. La sua compagna ha perduto la metà della vita sua. Possa il sangue di tanto martire e di tanti altri accelerare il trionfo della giustizia e della libertà.
Federico Salomone è profondamente addolorato della morte del suo Aiutante Maggiore, ed ei non ha nulla dell’estinto patriota. Prenderò conto delle carte.
Tanto le L. 425, destinate per Caretti, quanto le L. 150 per i signori Giordani e altri , dietro dispaccio del sig. Pasquale Giordano di Rieti, 28 ott. ultimo, così concepito: Sono Scandriglia – Fratello ferito – spedito denaro mio e di Caretti – Giovanni Ferri – rieti – servitevi telegrafo. – Io rispondeva nello stesso giorno: Giovanni Ferri – dite Giordano posta oggi riceverà vaglia denaro ricevuto da Teramo. Ed infatti con due vaglia postale rimetteva ad esso Signor Ferri 425 per Caretti e 150 per Giordano ecc. Di questo invio non ebbi risposta nè da Ferri, nè da Giordano. so che quest’ultimo sia già tra voi. Prendetene conto.
Eccoti un vaglia postale di L. 300. Delle altre somme inviate te ne darò conto con altra mia.
Il sig. Vulpiani non ha relazione in Civitavecchia.
Ti stringo di cuore la mano e credimi sempre.
Aff.mo
Pietro Marrelli
 ***
Tutti a Lucoli conoscono la figura di Pietro Marrelli, che nacque a Colle, il 24 giugno 1799, da Pasquale, agiato proprietario terriero, e da Cristina Sponta. Compiuti all’Aquila gli studi inferiori, nel luglio 1820, dopo la concessione della costituzione napoletana, entrò con il grado di furiere nel corpo civile dei militi, destinato alla difesa delle province. Esauritasi la breve esperienza costituzionale, ritornò agli studi, conseguendo a Napoli nel 1823 la laurea in giurisprudenza. L’anno precedente aveva sposato Geltrude Luzi, da cui ebbe due figlie: Adelaide ed Emilia.
Parallelamente alla professione forense, che esercitò con successo per tutta la vita, si diede all’attività politica clandestina. Già nel 1830 fu ispiratore di un comitato segreto aquilano che, d’accordo con i rivoluzionari romagnoli, intendeva promuovere una vasta insurrezione nell’Italia centrale: l’intervento della polizia borbonica sventò il progetto. Marrelli ebbe comunque la casa perquisita e subì un lungo interrogatorio, al termine del quale fu inviato a Lucoli in regime di domicilio coatto (gennaio 1831). Rientrato poco dopo all’Aquila, riprese l’attività cospirativa.
All’inizio del 1833 contribuì alla preparazione di una rivolta che sarebbe dovuta scoppiare l’estate successiva in vari punti del Mezzogiorno. Colpito da ordine di arresto il 17 maggio 1833, riuscì dalla latitanza a mantenere i contatti con i liberali aquilani e a coordinarsi con P.S. Leopardi, membro della congrega centrale rivoluzionaria; ma intanto l’intervento poliziesco faceva fallire la cospirazione. Ritirato il mandato di arresto, nel marzo del 1834 il Marrelli fece ritorno all’Aquila.
Dopo alcuni anni di stasi Marrelli, definito dal Colapietra come «figura tanto minoritaria quanto carismatica», promosse, in collaborazione con Angelo Pellegrini, Giuseppe Cappa, Luigi Dragonetti e Luigi Falconi (fondatore della Giovine Italia all’Aquila), un nuovo moto, acquistando a proprie spese le armi necessarie e tenendo personalmente i contatti con i democratici napoletani. Fu un altro completo fallimento: la sera dell’8 sett. 1841 gli insorti (che non ebbero l’aiuto sperato dai paesi vicini) furono infatti sanguinosamente sconfitti dalla polizia nelle strade dell’Aquila. Le autorità borboniche risposero al tentativo rivoluzionario con una violenta azione repressiva, che condusse anche ad alcune condanne a morte.
Marrelli, che non aveva partecipato in prima persona agli scontri, fu detenuto per un breve periodo nelle carceri aquilane del Castello e successivamente rimesso in libertà dalla commissione militare per insufficienza  di prove. Si ritenne comunque opportuno mandarlo in domicilio coatto a Teramo, ove rimase fino al 1847, quando il locale intendente, onde prevenire disordini nella propria provincia, ne dispose il ritorno a L’Aquila. 
Nel marzo 1848, entrò a far parte di un comitato aquilano (composto da sette membri e presieduto dal barone G. Cappa) nato con l’obiettivo di assicurare, attraverso un’attiva propaganda, il sostegno dell’opinione pubblica all’ordinamento costituzionale da poco entrato in vigore e di condurre una serrata lotta agli uomini del vecchio sistema ancora operanti nella politica e nella magistratura. Lavorando di concerto con l’intendente M. d’Ayala, il comitato (sebbene non avesse un riconoscimento legale) ebbe in quel frangente un ruolo parimenti significativo nel mantenimento dell’ordine pubblico. Dopo i tragici fatti napoletani del 15 maggio 1848, Marrelli e Cappa diedero alle stampe a L’Aquila gli opuscoli Appello ai novelli collegi elettorali e Protesta della Provincia dell’Aquila per i fatti del 15 maggio, nei quali invitavano i cittadini a rieleggere i deputati appena esautorati e chiedevano con forza al governo l’annullamento degli atti incostituzionali compiuti dopo il 15 maggio e l’immediata riapertura della Camera, minacciando in caso contrario di appellarsi all’opinione pubblica europea. Il consolidamento della reazione borbonica costrinse però al silenzio i democratici abruzzesi.
Le indagini sull’attività del comitato aquilano, cominciate nel dicembre 1849, portarono immediatamente all’arresto di Pietro Marrelli, processato dalla Gran Corte criminale dell’Aquila, il 12 luglio 1851, fu condannato insieme con Cappa a 24 anni di reclusione «per avere provocato col mezzo di scritto stampato gli abitanti del Regno a cambiare il governo e perché colpevole di mandato nel costringere con violenza e minacce un magistrato dell’ordine amministrativo […] a non fare atti dipendenti dal suo ufficio» (Bruno, p. 27). Incarcerato a Napoli, fu trasferito a Procida nel febbraio 1852. Nell’ottobre successivo, accusato di proseguire l’attività cospirativa, venne rinchiuso nelle segrete del carcere duro di Castel Capuano. Tornato a Procida nel febbraio 1853, vi rimase fino all’agosto 1858, quando fu inviato a Nisida.
Il 27 dic. 1858 un decreto reale commutò la pena residua con l’esilio perpetuo e la deportazione in America: il 16 genn. 1859 Marrelli e altri 66 detenuti politici salparono da Nisida a bordo dei piroscafi «Fieramosca» e «Stromboli». Il 26 gennaio approdarono a Cadice, ove furono trasferiti su un bastimento statunitense. Il 6 marzo 1859 giunsero infine nella baia irlandese di Cork, grazie al lavorio diplomatico intessuto principalmente da Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, compagno di viaggio del Marrelli.
In alcune pagine di un diario rimasto inedito – redatto con uno stile essenziale e asciutto, raramente riscontrabile nella memorialistica risorgimentale – Pietro Marrelli lasciò una preziosa descrizione dell’avventuroso viaggio.
Nei mesi successivi Marrelli soggiornò a Queenstown, Londra e Bristol. Durante il soggiorno londinese conobbe finalmente Mazzini e pubblicò in alcuni quotidiani locali vibranti articoli contro il governo borbonico. Tornò in Italia dopo l’armistizio di Villafranca, ma, giunto a Livorno, fu arrestato il 27 ag. 1859 su ordine di B. Ricasoli e condotto alle Murate di Firenze. Liberato due giorni dopo, dovette abbandonare la Toscana e si diresse a Genova.
Nel novembre 1859, in una lettera indirizzata all’amico A. Pellegrini, fissò con chiarezza i capisaldi della propria azione politica: nessuna collaborazione con il Piemonte sabaudo e neppure con il movimento garibaldino (se si fosse mostrato strumento di Vittorio Emanuele II), nessun arretramento fino all’instaurazione sull’intero territorio italiano della Repubblica democratica, alla fine del potere temporale dei papi e della stessa presenza del pontefice a Roma.
Dal luglio al novembre 1860  visse a Napoli, ove fu tra coloro che tentarono vanamente di impedire l’annessione del Regno meridionale al Piemonte. Rientrato all’Aquila (ove ospitò per alcuni giorni Mazzini e A. Mosto), non ebbe miglior fortuna, nonostante i caldi incoraggiamenti di G. Nicotera, nell’opera in favore dei candidati democratici alle elezioni politiche del 27 gennaio 1861.
Nell’estate 1861, aderendo all’iniziativa promossa da G. Garibaldi nel gennaio precedente, Marrelli diede vita all’Aquila a un comitato di provvedimento per Roma e Venezia; nei mesi seguenti più volte lamentò, nei contatti epistolari con F. Bellazzi e A. Saffi (rappresentanti rispettivamente dei comitati di Genova e Napoli), l’estrema difficoltà nel reperire fondi nella provincia aquilana, stretta nella morsa dei moderati e dei reazionari borbonici e papalini. I disastri di Sarnico e Aspromonte non piegarono comunque la determinazione del nostro avo, il quale ricevette nel gennaio 1864 da B. Cairoli, presidente del Comitato centrale unitario, la delega per gli Abruzzi al reperimento dei mezzi necessari alla sollevazione che dal Trentino si sarebbe dovuta estendere a vaste zone dell’Europa orientale. Quindi, nel maggio 1866, fu tra i principali artefici dell’arruolamento di un centinaio di volontari abruzzesi, che presero parte alla campagna garibaldina nelle montagne del Trentino. Nella primavera dell’anno successivo ebbe da F. Costa, esponente del fiorentino centro dell’emigrazione, l’incarico di raccogliere fondi in vista di una possibile azione garibaldina nello Stato pontificio: con questa attività diede così un contributo decisivo all’allestimento di gruppi di volontari abruzzesi ma, in piena sintonia con Mazzini, si preoccupò soprattutto che l’impresa avvenisse in una prospettiva, ideologica e strategica, autenticamente repubblicana. Dopo il disastro di Mentana, sebbene gravemente malato, trascorse alcuni giorni nel carcere dell’Aquila. Il 17 dicembre 1867 l’autorità giudiziaria lo prosciolse per inesistenza di reato.
Da allora, stanco e deluso, si estraniò completamente dall’attività politica fino alla morte, avvenuta all’Aquila il 7 giugno 1871.
Ancora oggi sui muri di alcune case di Colle di Lucoli è possibile individuare le sagome con il volto di Garibaldi
Fonti e Bibliografia:
Tra tutti si cita Francesco Di Gregorio, anch’egli lucolano di Colle, che aveva già pubblicato, tra le tante altre cose, per le Edizioni Colacchi dell’Aquila, una nuova edizione del Diario e Lettere alla Famiglia di Pietro Marrelli, con ampio apparato critico e interpretativo, L’Aquila 1988.
E. Bruno, P. M. e la partecipazione della Provincia aquilana al tentativo garibaldino del 1867, L’Aquila 1914 (in partic. alle pp. 105-207 numerosi estratti dalle Carte Marrelli, fra cui il Diario [gennaio-luglio 1859], lettere alla famiglia, corrispondenza da e con G. Garibaldi [1859-65], lettere di A. Mosto, A. Pellegrini, A. Mario, C. Corte, B. Cairoli, A. Lemmi e G. Mazzini); W. Capezzali, Le Carte Marrelli nella Biblioteca provinciale dell’Aquila, in P. M. e il Risorgimento. Nel bicentenario della nascita del patriota aquilano, L’Aquila 2002, pp. 41-44; L. Biondi, Il diario di P. M. tra letteratura e testimonianzaibid., pp. 9-17; R. Colapietra, Il carteggio di A. Pellegrini…ibid., pp. 45-70; P. M. Lettere politiche: 24 luglio 1861 – 13 maggio 1863, a cura di S. Liberatore, ibid., pp. 71-101; Ed. nazionale degli scritti editi ed inediti di G. MazziniIndici, II, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomenEd. nazionale degli scritti di G. Garibaldi, XIV, Epistolario, 8, a cura di S. La Salvia, Roma 1991, pp. 133, 232; S.A. Falasca, Il mazziniano P. M. e la spedizione garibaldina nell’Agro Romano, in Rass. stor. del Risorgimento, LIX (1972), pp. 44-84. Riferimenti al M. in: A. De Nino, Briciole letterarie, II, Lanciano 1885, p. 75; M. Oddo Bonafede, Storia popolare della città dell’Aquila degli Abruzzi dalla sua fondazione al 1888, Lanciano 1889, p. 274; N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, II, Napoli 1891, p. 161; L. Favaro, L’insurrezione aquilana del 1841, Roma 1907, passim; B. Costantini, I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, Pescara 1960, p. 53; R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell’Aquila, L’Aquila 1984, ad ind.; A. Ventura, Città e paesi: L’Aquila, in L’Abruzzo nell’Ottocento, Pescara 1996, pp. 220-222; R. Colapietra, I ceti politici: un profilo, in Storia d’Italia (Einaudi), Le Regioni dall’Unità a oggiL’Abruzzo, a cura di M. Costantini – C. Felice, Torino 2000, p. 709. F. Zavalloni.

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