PARLIAMO DELLE SPECIE VEGETALI RELITTE DI LUCOLI NEL GIORNO DELLA GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE

by Amministratore

Il 5 giugno è la quarantesima Giornata Mondiale dell’Ambiente, o World Enviroment Day, per essere internazionali. E la green economy e lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile sono al centro del dibattito cosmopolita, che festeggia l’edizione 2012 della giornata dell’Ambiente con lo slogan ‘Economia verde: ne fai parte?’

Con la Giornata Mondiale dell’Ambiente si vuole ricordare che ognuno di noi può fare qualcosa per rendere l’economia più sostenibile e maggiormente amica dell’ambiente. In occasione di questa giornata, con lo scopo di sensibilizzare maggiormente i cittadini e le aziende a fare scelte eco, si è reso noto che: entro il 2050, 1,8 miliardi di persone vivranno in zone del mondo dove l’acqua scarseggerà; che ogni anno vengono cancellate 6 milioni di foreste primarie e 13 milioni di ettari di boschi; che cresce la popolazione mondiale e si stima che entro il 2050 si toccherà quota 9 miliardi di persone. Il pianeta Terra è in serio pericolo ed anche il meraviglioso territorio di Lucoli al quale teniamo tanto.


Sulla scia di tale celebrazione ci è venuta voglia di parlare dell’Ambiente di Lucoli e delle sue MAGNIFICHE SPECIE BOTANICHE e questa volta vogliamo parlare di quelle denominate “RELITTE“.

Che cosa è una specie relitta? Per “relitto geografico” si intende generalmente un determinsto organismo che, nell’area dove vive attualmente, è rimasto come testimonianza di una situazione passata durante la quale era maggiormente diffuso. Esistono anche “relitti tassonomici”, ossia organismi che hanno mantenuto attraverso il tempo caratteristiche morfologiche e biologiche di antica origine. Ad esempio l’albero di ginkgo (Ginkgo biloba) era ampiamente diffuso in Europa durante il mesozoico (oltre 65 milioni di anni fa) ed è rimasto praticamente immutato da allora conservando i caratteri arcaici dell’intero gruppo di piante estinte cui appartiene. Come unico rappresentante vivente di questo, esso può considersi un “fossile vivente” ad elevato isolamento tassonomico e filogenetico. Per capire come sia possibile trovare piante relitte in Italia occorre ripercorrere la storia della terra da 50 milioni di anni fa fino ad oggi. Durante il periodo terziario la deriva dei continenti aveva disposto le terre emerse in una posizione abbastanza simile all’attuale. Il Polo Sud però si trovava poco distante dal Sudafrica e l’Equatore decorreva lungo l’Europa meridionale. Il clima della regione corrispondente all’Italia era quindi tipicamente tropicale e la flora era caratterizzata da specie di clima caldo umido tra cui numerose Sequoie, Ficus, Magnolie, Eucalyptus, Bignonie, Gardenie ecc., giunte fino ai nostri giorni imprigionate nella roccia sotto forma di fossili. Durante tutto il terziario il Polo Nord continuò ad avvicinarsi all’Europa a causa di oscillazioni dell’asse terrestre e corrispondentemente il clima divenne via via più freddo. Fino alla fine del periodo terziario il clima della nostra zona rimase caldo, variando dal clima tropicale dell’eocene (50 milioni di anni fa) al clima temperato-caldo del pliocene (2 milioni di anni fa).
Una visualizzazione della glaciazione terrestre

Le glaciazioni
Dal Pliocene ad oggi, invece, il clima europeo fu sconvolto da una serie di raffreddamenti (glaciazioni) che portarono i ghiacci polari ad avanzare fino all’Europa centrale causando radicali trasformazioni nella copertura vegetale di quell’epoca. Gli eventi glaciali pleistocenici più importanti furono quattro: Günz (600-550.000 anni fa), Mindel (480-430.000 anni fa), Riss (240-180.000 anni fa) e Würm (120-70.000 anni fa) alternati da periodi di progressivo riscaldamento durante i quali il clima era più o meno simile all’attuale. Questi ultimi eventi climatici portarono mutamenti importantissimi nella flora europea ed italiana. Durante le glaciazioni infatti le piante tropicali dovettero arretrare verso Sud e scendere di quota verso il mare, spinte dalla progressiva avanzata dei ghiacci e dalle basse temperature. Alcune poterono sopravvivere in stazioni limitate e particolarmente protette, ma la maggior parte di esse scomparve totalmente dal bacino del Mediterraneo. Il risultato delle glaciazioni fu quindi il quasi totale annientamento della flora tropicale terziaria, l’impoverimento dell’antica flora europea, la formazione di nuove specie adattate ai climi freddi e l’arrivo di specie artiche sulle montagne.
Esaminando  la storia  vegetazionale della flora di Lucoli, dobbiamo tenere presente quella che era la vegetazione  nelle fasi interglaciali più miti, che vanno dai 450.000 (stadio isotopico)  anni indietro, alle ultime fasi glaciali, che risalgono approssimativamente al 1500 DC.
Tra i ghiacciai maggiori dell’arco alpino ed appenninico, presenti in quelle fasi storiche, vi erano quelli presenti nell’appennino centrale abruzzese, che comprendevano anche l’altopiano di Campo Felice, con i rilievi che lo contornano, la cui altezza supera spesso i 2000/ 2200 hlm.
Secondo una percentuale di calcolo approssimativa (poichè i fronti morenici presenti nella zona di Lucoli hanno una altezza di circa  20 m) nell’area vi erano ghiacciai alti tra i 150 m ed i 200 m
Durante le varie fasi di ricerca – le ultime risalgono al 2001-2004 (C.Giraudi), si cercò di ricostruire anche la storia vegetazionale  della zona, confrontandola sia con quella dell’intero Appennino, sia con quella di tutte le zone climatiche, d’Europa analogamente interessate. I risultati emersi dimostrano che in questa conca di circa 15 km2 sono ancora presenti faglie attive, carsismo diffuso, sedimenti lacustri, testimonianze glaciali uniche in tutta la fascia mediterranea e fasi lacustri ancora attive in continua evoluzione e degne di interesse scientifico.
Tutto questo riguarda sia la flora, sia la  fauna, che la microfauna (ultimamente in questa area è stata fatta una importante scoperta, è stato individuato un nuovo ceppo di Tubifex tubifex, un piccolo verme rosso attualmente in fase di studio da parte dell’Università la Sapienza). 
Tornando alla flora relittuale, partiamo di alcune specie che nei periodi interglaciali erano presenti nell’altopiano di Campo Felice e nelle zone limitrofe. Si è potuto risalire ad esse grazie ai pollini fossili esaminati a seguito di studi effettuati da parte dell’ENEA  nel 2004 e grazie alla grande competenza di Carlo Giraudi, che ci ha fornito la relazione della ricerca da lui condotta.
Le specie vegetali di cui si ha la certezza dell’esistenza sono:
  • Raggruppamenti arborei costituiti da Abies, Alnus, Ulmus, Corylus, Fagus e Picea. Di varie specie con una fase evolutiva che va dai querceti misti al faggio, abete ed abete rosso.Questa dinamica, corrisponde per grandi linee alle fasi evolutive interglaciali europee.
  • Nella fase progressiva si prospetta una diffusione di raggruppamenti arborei con predominanza di pino, presenza importante di ginepro, peccio, ephedra fragilis.
  • E’ nota la presenza di molte altre erbacee, con predominanza di artemisiae, cichorioideae, graminacee, asteracee, chenopodium e thalictrum.

Dalla fine delle grandi glaciazioni ed in base alle ultime predominanze, possiamo provare ad indicare l’evoluzione vegetativa di alcune specie. 
L’altipiano era ricoperto fino a circa 500 anni or sono da un lago, con varie fasi di minimo e massimo livello di acque, ed era anche costituito da una torbiera discontinua che forma attualmente il cotico erboso di molta parte di Campo Felice, alternata a zone alluvionali dovute ai flussi d’acqua dei fiumi dei ghiacciai, ai sedimenti morenici ed in alcune zone ai componenti detritici dovuti ad erosione meccanica gravitazionale, o fluvio glaciale. Risulta presente anche una componente più modesta costituita da sedimenti eolici, vulcanici che provengono dalle eruzioni dei vulcani laziali quali quello di Vico e di Albano.
Queste caratteristiche morfologiche, costituiscono, nello stesso contesto, ad esempio delle zone aride popolate in prevalenza da graminacee
Sesleria uliginosa
Invece, in piena torbiera, (identificabile in gran parte con l’area vicina al cantiere della Galleria di Serralunga) e corrispondente alle zone depresse, è diffusa con una buona percentuale la Sesleria uliginosa, una poaceae  molto interessante di cui si trovano alcune colonie  verso il centro nord  ed estremo nord est d’Italia. Questa specie è strettamente legata agli habitat paludosi o al massimo – come nel nostro caso semi paludosi. E’ prevedibile che,  continuando a svilupparsi un sistema di “deumidificazione”, questa specie restringerà il proprio habitat fino ad una sua possibile scomparsa, fenomeno che del resto si sta verificando in tutta la fascia atlantica.
Artemisia atrata
I simboli delle specie da elencare come relittuali sono senz’altro due, a rappresentanza di tutte: l’Artemisia atrata e la Sedum nevadense. Due specie di eccellenza. L’Artemisia atrata è stata  segnalata sull’altopiano di Campo Felice in forma di colonia estesa, su circa 12 ha ed è costituita da un numero di individui calcolato approssimativamente in  400/600 unità.
Si ritiene che questa specie, sia sopravvissuta per migliaia di anni come “residuo glaciale”.  In quei periodi era di gran lunga più diffusa e prosperosa su tutto il territorio limitrofo dell’altopiano e  probabilmente anche nelle valli adiacenti. Alla Sedum nevadense è toccata probabilmente la stessa sorte.
Questa specie, estremamente delicata ed instabile, è assai vulnerabile al sovraccarico animale dovuto al pascolo intensivo, agli eventi atmosferici ed a qualsiasi altro fattore,  che potrebbe disturbarne l’esistenza. Tuttavia si potrebbe conservare la sua presenza ancora per molti anni,  a patto che il suo habitat resti  integro. Questa è la specie a più alto rischio di estinzione a breve; specialmente a causa dei molti interventi antropici a vari livelli.
Moltissime altre sono le specie delle quali si dovrebbe parlare ma siamo costretti, visto il nostro formato editoriale da BLOG, a sintetizzare.
L’altopiano di Campo Felice andrebbe studiato con più attenzione  a livello geologico, vegetazionale e storico,  per le infinite ed uniche peculiarità che ancora conserva.
A nostro avviso quest’area,  dovrebbe essere proposta e salvaguardata come “Percorso tematico del patrimonio mondiale dell’UNESCO” e messa a disposizione della comunità scientifica, delle scuole e dei visitatori interessati, sviluppando un turismo competente e sostenibile.
Ringraziamo Rossano Soldati per il contributo tematico offertoci con questo testo.

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