Riguardo ai 350 esemplari di lupo censiti in Abruzzo. Considerazioni a tutto campo con l’aiuto di scritti di Corradino Guacci e Bernardino Ragni.

by Amministratore

«In Abruzzo non si abbattono lupi». Parola di assessore…….

amy hamilton. http://blog.freepeople.com/2012/12

Entro marzo 2016 la Conferenza stato-regioni deve esprimersi sul Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, che prevede la possibilità di abbatterne fino al 5 per cento all’anno, commissionato da Minambiente ai sapienti della Sapienza di Roma e dell’Unione zoologica italiana.
Ma la rimozione fino al 5 per cento della popolazione italiana di lupo potrebbe risolvere il problema di convivenza? Anche in questo caso, non v’è tema di errore nel dichiarare “no”. Pecore imprudentemente incustodite saranno sempre preferite, dal lupo, all’agguerrito cinghiale e al velocissimo capriolo; cani, bambini e donne, in situazioni  incaute, non potranno essere mai totalmente al sicuro.
 
ABRUZZO. «In Abruzzo non esistono le condizioni per un abbattimento selettivo dei lupi».
Lo afferma l’assessore alle Politiche agricole, Dino Pepe, in merito ai contenuti del “Piano di azione del lupo” del ministero dell’Ambiente che prevede, se ricorrono determinate condizioni, la possibilità di deroghe all’abbattimento su autorizzazione del lupo.
«Attualmente – precisa l’assessore alle Politiche agricole – in Abruzzo la popolazione stimata dei lupi ammonta a 350 esemplari, di cui i 2/3 gravita nelle aree dei parchi nei quali non è ammessa alcuna deroga. È importante però sottolineare che la Regione Abruzzo si è posta il problema degli indennizzi da corrispondere agli imprenditori agricoli per danni causati da lupi e cinghiali incrementando la relativa voce di bilancio a 750 mila euro. È una delle poche partite di bilancio che ha fatto registrare un incremento in entrata a conferma dell’attualità del problema e della necessità della Giunta di venire incontro agli agricoltori, ma allo stato non è possibile prevedere un abbattimento selettivo del lupo».
 Il tema dei danni e dei relativi indennizzi «è previsto anche nel Piano di sviluppo regionale con azioni specifiche e come strumento aggiuntivo a situazioni emergenziali».
A livello nazionale, invece, il Piano dovrà essere approvato in via definitiva in sede di Conferenza Stato-Regioni ed «è opportuno che in quella sede – conclude l’assessore Pepe – le Regioni esprimano le proprie problematiche su scala regionale sia di conservazione della specie sia di mitigazione dei conflitti tra la presenza del lupo e alcune attività antropiche».
Facciamo qualche considerazione con l’aiuto di Corradino Guacci autore del libro “Transumanza, Uomini e lupi nella Capitanata del XIX secolo”.              
“I lupi, che facevano la posta a un gregge di pecore, non riuscivano ad impadronirsene a causa dei cani che lo sorvegliavano, e allora decisero di ricorrere all’astuzia per raggiungere il loro scopo…” Come fu per Esopo, i lupi sono ancora protagonisti di vicende che attirano l’attenzione. Paesaggio naturale, luoghi di transumanza, lupi, greggi, tratturi: ce ne parla il naturalista e storico molisano Corradino Guacci nella sua nuova pubblicazione edita da TEMI Editrice.
Guacci si chiede quale validità possa avere un piano che, intendendo incidere su una popolazione animale, si basa su dati quantitativi approssimativi, tanto da essere contestati anche all’interno dello stesso mondo della ricerca? 
Un recente articolo dello zoologo Bernardino Ragni (http://www.panorama.it/scienza/animali-natura/bestiario-contemporaneo/lupi-si-ma-in-modica-quantita/) ipotizza, addirittura, che la consistenza totale della stessa popolazione di lupi possa superare del 50% quella stimata.
Guacci si chiede come si possa pensare che una quota di abbattimento di 60 lupi (in media 3 a regione) possa risolvere, o quantomeno attenuare, i conflitti con gli allevatori.
Ancora, come si fa a decidere di dare il via ad abbattimenti di lupi se non si è prima provveduto a contenere seriamente la popolazione degli ibridi e dei cani “vaganti” che, come diceva qualcuno, quando si trovano in natura non mangiano “margherite”?
A questo punto si potrebbe obiettare che i cani sono tutelati dalla legge 281/1991, la legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo.
Gli ibridi, oltre ai cani, non possono essere “eliminati” ai sensi della legge Legge 20 luglio 2004, n.189 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”.
Su tutti, infine, l’ombrello protettivo dell’art. 544-bis del Codice Penale che punisce l’uccisione di un animale, per crudeltà o senza necessità, con la reclusione da tre a diciotto mesi.
Guarda caso il lupo, con eccezione della 281 del 1991, è altrettanto coperto da tutte queste disposizioni e, in più, dalla legge 157/1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” (artt. 2 e 30) e dalle norme comunitarie (Convenzione di Berna, Direttiva Habitat…) recepite dal nostro ordinamento.
Quindi, anche se certamente provocatoria come proposta, non sarebbe più “opportuno” contenere prima gli ibridi, poi i cani “vaganti” e, in ultima analisi, i lupi?
Infine, il piano non sembra prendere nella dovuta considerazione la bibliografia specifica esistente sull’argomento che sconsiglia, sulla base delle esperienze condotte in altri Paesi, di adottare la linea dell’abbattimento dei grandi carnivori per contrastare i danni agli allevamenti.  Come ad esempio i recenti lavori di Fernandez Gil et al. (2013, 2014 e 2016)  sui risultati dell’esperienza spagnola laddove la strategia dell’abbattimento selettivo dei grandi carnivori non sembra aver portato a una diminuzione dei danni, anzi…
E allora? 
Se la motivazione di questo piano sta tutta nel cercare di limitare i danni apportati dal lupo agli allevamenti (specialmente in quelle zone di recente ricolonizzazione dove da un lato non c’è l’abitudine ad adottare difese attive e passive – cani da guardiania e recinzioni elettrificate – e dall’altro non c’è la volontà di utilizzarle, essendo molto più comodo lasciare il bestiame incustodito), l’operazione così congegnata sembra avere, più che altro, la funzione di un assist alla politica che si trova a dover gestire le rimostranze degli allevatori.
Si ha, inoltre, la spiacevole sensazione che questo piano non risolverà il problema, anzi creerà un presupposto rischioso, quello dell’abbattimento legale del lupo che non solo non mitigherà il fenomeno del bracconaggio ma, al contrario, potrebbe incoraggiarlo. 
Qualcuno che fino a ieri si era trattenuto per timore della sanzione, oggi potrebbe imbracciare il fucile o usare il veleno sulla base del semplicistico ragionamento “se lo fa lo Stato…”.
L’efficacia prevista è messa in dubbio anche da chi si occupa di queste questioni come lo stesso Corradino Ragni che, sempre nell’articolo citato, afferma: “Ma la rimozione fino al 5 per cento della popolazione italiana di lupo potrebbe risolvere il problema di convivenza? Anche in questo caso, non v’è tema di errore nel dichiarare “no” e conclude “Al di là delle percentuali, dei perché e dei modi, contenuti nel “Piano” sub judice, se tale provvedimento costituisce un primo, timoroso, certamente imperfetto, tentativo di sdoganare la risorsa naturale rinnovabile Canis lupus italicus dal ghetto dei tabù emozional-confessional-ideologici, che ben venga!”
E qui credo che, di fronte a un piano che solleva tanti dubbi e che potrebbe comportare ulteriori squilibri ambientali, forse dovremmo essere più cauti.
Così come giocare a rinfocolare l’atavica paura del lupo, scambiando improbabili cronache giornalistiche per testimonianze asseverate dell’aggressività del lupo, è pratica “ardita”.
Lo stesso incipit dell’articolo del professor Ragni può essere fuorviante qualora le citazioni di Ghigi e Altobello*, seppur correttamente contestualizzate, non vengano strettamente inquadrate nell’epoca in cui sono state asserite (1911-1924).
Sarebbe un po’ come voler sostenere oggi che il Sole gira intorno alla Terra, riesumando la teoria geocentrica di Tolomeo, elaborata nel II secolo d.C.
Dai tempi di Ghigi e Altobello sono nate e si sono sviluppate scienze moderne come l’ecologia e l’etologia che ci hanno fatto capire qual è, effettivamente, il ruolo dei predatori apicali come il lupo e l’orso e quale il loro posto negli ecosistemi.
Un’ultima  considerazione sull’articolo di Ragni: affermazioni del tipo “bambini e donne, in situazioni incaute, non potranno essere mai totalmente al sicuro” andrebbero evitate.
Infatti la stessa raccomandazione si potrebbe tranquillamente utilizzare con riferimento ai cani (60.000 morsicati ogni anno e, negli ultimi 30 anni, una media di 3-4 morti all’anno), attività venatoria (qui la media dei morti sale e di parecchio…), mucche, api, calabroni risparmiamo il resto…
*Gennaio 1911 “…non dovrà recar meraviglia se fra qualche anno … si sentirà parlare paurosamente di lupi affamati riuniti a frotte nel mezzogiorno d’Italia” (Alessandro Ghigi, insigne studioso di fauna italiana);
Giugno 1924 “… qualcuno non sa i danni che fa il lupo, non sa quali pericoli ci minaccia se lo lasciamo ancora libero di moltiplicarsi e di agire secondo i suoi noti brutali istinti di malvagità.
… ad evitare che esso continui liberamente a moltiplicarsi, insistentemente a distruggere il bestiame, impunemente ad attentare alla vita umana, mi sia lecito chiedere a S. E. il Ministro … che sia permessa l’uccisione del lupo…” (Giuseppe Altobello, insigne studioso di fauna appenninica, Campobasso).
Credits:
Corradino Guacci, Presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”.
Guacci ha presentato esposto alla Procura della Repubblica di Campobasso contro il servizio del programma le IENE “Quando il lupo diventa una minaccia”.

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