IL SAMBUCO, IL SACRO ALBERO DEL CONFINE E NON SOLO………. STORIE DI ALBERI.

by Amministratore
Prima dell’uso delle macchine in agricoltura, i campi erano delimitati da siepi e da alberelli che ne segnavano il confine. Di solito le piante prescelte per delimitare il confine eranoil melo cotogno (Cydonia oblonga), specialmente nelle aree collinari e costiere, il maggiociondolo (Cytisus laburnum) nella valle Subequana e il sambuco (Sambucus nigra) utilizzato in un contesto territoriale ben più ampio.
La scelta di queste specie era legata in primo luogo alle dimensioni ridotte, infatti si tratta di specie per lo più arbustive o alberelli, di conseguenza occupavano poco terreno e producevano un’ombra esigua e se tagliati e rinascevano con nuovi getti. Varrone, nel De Re Rustica, consiglia vivamente di sistemare lungo i confini dei campi gli alberi, affinchè i limiti prediali risultassero inequivocabili e così potessero essere evitate le continue liti tra vicini.
Il Sambuco, grazie alle sue caratteristiche di pianta nitrofila e ruderale e l’estrema facilità di riproduzione per talea, veniva impiegato per realizzare siepi vive, specialmente presso gli abitati e le stalle; inoltre veniv apiantato a ridosso degli ovili o nei pollai allo scopo di fornire ombra agli animali.

Il Sambuco del piazzale davanti l’Abbazia di San Giovanni Battista
L’uso del Sambuco come pianta di confine, in un certo senso ne decreta l’intoccabilità, rafforzata e supportata dal vincolo di sacralità come avveniva nel periodo romano e nelle epoche precedenti per i termini ed i cippi di confine.
Nel periodo medioevale l’umile Sambuco divenne simbolo di vigilanza forse in conseguenza del suo utilizzo nei campi.
Maria Concetta Nicolai (1981) avanza una tesi alquanto suggestiva sul sambuco e sul suo ruolo di sacra pianta di confine. C’è una radice linguistica comune tra il fitonomo sambuco con quella del popolo dei Sabelli, dal quale sono derivate altre popolazioni italiche ed in particolare quelle dei Sabini e dei Sanniti, che occuparono parte dei territori abruzzesi. Studi glottologici hanno dimostrato che i Sanniti, Sabelli e Sabini derivano dal nome del radicale sabus (sambus), lo stesso del nome sambuco, che poi si scinde in samb-radicale e ucus suffisso proprio dei terminid i piante e frutti in quanto questi sarebbero sta popoli detti “coltivatori di sambuco”.  Il sambuco, comunque, è specie considerata sacra dalle proprietà magiche tra diverse genti europee, in particolare tra i Germani ed alcune popolazioni slave. A fano Adriano alle falde del Gran Sasso, era in uso portare in tasca o, comunque, addosso una foglia di sambuco poichè si confidava nei suoi poteri magici capaci di contrastare il malocchio (Tammaro, 1984). A Paganica, il legno della pianta non poteva essere bruciato, poichè cosi facendo le galline avrebbero perso la capacità di deporre le uova. A Basciano, in provincia di Teramo, un rametto dell’alberello posto sotto il guanciale curava le gnannure, ossia il gonfiore delle ghiandole linfatiche.
All’albero di sambuco si rivolgevano anche le madri per far guarire i propri figli dalle pericolose febbri malariche. A Cupello, riferisce la Massetti, (1993), le donne conducevano i  malati di febbre terzana presso l’albero verso cui rivolgevano la seguente frase magica: “bonggiorne, signore sambuche, la terzane attè l’adduche, te l’adduche e tte la lasse, me la ripiglie quande arepasse”, ossia “buongiorno signor sambuco, ti porto la febbre terzana, te la porto e te la lascio, me la riprendo quando ripasso”. Ovviamente, la donna fuggiva senza voltarsi indietro con l’impegno per gli anni futuri di evitare l’albero a cui sperava di aver lasciato la febbre.
L’alta considerazione in cui veniva tenuta la specie è da ricollegare anche e soprattutto alle sue molteplici proprietà. Nella medicina popolare, le diverse parti della pianta, fiori, frutti, foglie e corteccia, trovano impieghi molteplici per la loro azione diuretica, purgante, emolliente, antispasmodica, antigottosa, ecc. Fino a qualche decennio addietro, in alcuni comuni montani abruzzesi venivano attivamente raccolti i fiori della pianta allo scopo di rifornire le industrie farmaceutiche che ne facevano richiesta.
Anche il legno della pianta trovava in Abruzzo impieghi più disparati, sia per la realizzazione dei giochi per bambini, nello specifico ciarbottane e schioppi, che per diversi manufatti tra cui i gioghi per i buoi per la particolare qualità di questo legno che si caratterizza per la proverbiale leggerezza e, nel contempo, per una straordinaria resistenza. Secondo la tradizione locale, le artistiche e straordinarie porte rinascimentali della chiesa di San Biagio di Taranta Peligna sono state realizzate proprio con il legno del sambuco, anche le porte della Chiesa di Santa Maria in Cellis a Carsoli.
I frutti del sambuco tra le popolazioni abruzzesi, venivano comsumati in maniera del tutto sporadica, quantunque è probabile che le genti preistoriche dell’accampamento venuto alla luce nell’area di Paludi di Celano se ne cibassero regolarmente come testimoniano i reperti archeobotanici ivi rinvenuti. A Capitignano,sui Monti della Laga, con i neri frutti del sambuco, veniva colorato un vino ottenuto dalla fermentazione delle mele selvatiche.
Si ringrazia il Professor Aurelio Manzi, autore del testo, per il permesso di pubblicazione.

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2 comments

Anonimo 9 Luglio 2013 - 7:15

Lo scorso anno con mia moglie abbiamo fatto un'ottima marmellata di sambuco

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amministratore 11 Luglio 2013 - 15:38

Grazie della testimonianza.
Le forniamo altri spunti di utilizzo del sambuco tratti dal libro: La mia cucina con le piante selvatiche. Autrice Meret Bissenger.
SCIROPPO DI FIORI DI SAMBUCO – RICETTA PER CIRCA 3L DI SCIROPPO
2 kg di zucchero;
1,5 l di acuq, scaldata al massimo a 40°;
20 grosse infiorescenze di sambuco (liberate dagli steli più spessi);
4 limoni, succo e scorza levata a strisce;
50 g di acido citrico.
Sciogliere lo zucchero nell'acqua, versarlo sui fiori; aggiungere gli altri ingredienti, lasciare al sole per tre giorni, rimestando di tanto in tanto. Eventualmente scaldare ogni tanto a fuoco moderato, ma mai oltrepassare il 40°. Passare attraverso un telo fine ed imbottigliare in bottiglie sterilizzate. Conservare in luogo fresco.
http://www.meretbissegger.ch/site/index.php
Saluti.

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